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25 Mag 2025, Dom

Oltre la curva: omicidi, clan e ultras. Milano e Calabria unite da un filo oscuro

Klaus Davi: «L’omicidio di Diabolik non è solo una faida tra tifosi. È un segnale della criminalità calabrese che opera anche lontano da casa»

Con l’intensificarsi delle indagini sull’omicidio di Vittorio Boiocchi, noto come Diabolik, storico capo ultrà dell’Inter, emergono scenari inquietanti che intrecciano il mondo del tifo organizzato con quello della criminalità calabrese. Le ultime rivelazioni stanno cambiando la narrazione di un fatto che, all’inizio, sembrava confinato agli eccessi del tifo da stadio.

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A gettare ulteriore luce sulla complessità del caso è il massmediologo e analista Klaus Davi, da anni impegnato nello studio dell’’ndrangheta e delle sue infiltrazioni nel Nord Italia:

«Calderon, il killer riconosciuto di Diabolik, ha incassato 100.000 euro, più un “vitalizio” di 4.000 euro al mese, almeno secondo quanto riferito nei verbali processuali. Un compenso spartito con due complici, anch’essi provenienti dalla Calabria, uno dei quali coinvolto nelle antiche faide vibonesi, come quella dei boschi, tra le più cruente e ritualizzate».

Un omicidio per 12-13.000 euro a testa? Un compenso basso, se si considera il rischio dell’ergastolo. Ed è proprio questo uno dei punti che solleva dubbi:

«Chi conosce la realtà ‘ndranghetista sa che ormai gli omicidi sono sempre più rari. Non si uccide più con leggerezza, perché anche i boss hanno timore delle conseguenze. E allora perché tre uomini avrebbero accettato un prezzo così basso? Qualcosa non torna».

Secondo Davi, ci sono contraddizioni anche nei verbali di Beretta, uno dei principali testimoni dell’inchiesta.

«Fin da subito, ho notato una certa fretta nel voler escludere figure chiave dal racconto, come “il Bello”. Una fretta sospetta, che sembrava più una strategia che una semplice omissione. Tant’è che pochi giorni dopo anche gli investigatori hanno sollevato dubbi sul fatto che Beretta stesse tacendo alcune verità».

Non si tratta solo di uno scontro tra tifoserie. L’indagine, infatti, tocca territori identitari per l’’ndrangheta:

«Non siamo nella Barona o al Gratosoglio, quartieri difficili ma non simbolici. Siamo in zone dove i clan calabresi, come i Bellocco, esercitano un controllo territoriale profondo. È plausibile pensare che l’omicidio sia stato autorizzato, coperto e facilitato da una rete criminale locale».

La vera posta in gioco, secondo Davi, è capire chi ha permesso tutto questo:

«Serve ricostruire la filiera: chi ha dato il via libera a questi uomini per colpire a Milano? Che ruolo hanno avuto i Mancuso, i Bellocco, le cosche vibonesi? Non è un’indagine che riguarda solo la Lombardia: riverbera sulla Calabria e ci racconta gli equilibri reali tra i clan».

E se i killer sono stati pagati poco, il pentimento diventa una possibilità concreta:

«Se dopo tutto questo ti restano in mano poche migliaia di euro e il rischio del carcere a vita, la collaborazione con la giustizia può essere una via di fuga. Uno dei due potrebbe parlare. Vedremo».

Infine, Davi invita a guardare oltre il fatto di cronaca:

«L’omicidio in ‘ndrangheta non è solo un fatto: è un rito, un messaggio, una narrazione. Se ci limitiamo a scoprire chi ha premuto il grilletto, perdiamo il senso più profondo dell’evento. E Beretta, pur con tutti i limiti, ha comunque indicato una direzione. Sta a noi seguirla fino in fondo».