Grazie, o Maria, se anche quest’anno ci è stato possibile ritornare a Polsi in questo bel santuario. Tutto era ormai segnato, quando le acque torrenziali dell’ottobre scorso avevano cancellato ogni via di accesso. Ma Tu, che sempre ci riservi sorprese, hai riaperto il cammino ed a noi devoti hai concesso di essere qui anche quest’anno. Grazie, Maria. Hai saputo sollecitare i nostri amministratori e le istituzioni civili, che in sinergia hanno individuato le giuste soluzioni al dissesto che si era creato. Accogli il lavoro e la fatica dei tanti operai e delle maestranze, che hanno lavorato con tanto entusiasmo, in modo da agevolare il percorso alle tante carovane di pellegrini che ivi accorrono.
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Il nostro primo pensiero va ai paesi del Centro Italia duramente compiti dal terremoto. Una preghiera, ma anche dei gesti concreti di solidarietà. Lo facciamo mettendo la nostra offerta nell’apposita cassetta disposta qui nel santuario. E’ un piccolo segno della nostra devozione a Maria.
Madre del buon Pastore, ti diciamo il nostro grazie per averci accompagnato in quest’anno della Misericordia nei tanti pellegrinaggi diocesani. Il tutto all’insegna della venerabile Croce di Polsi! Sei stata, o Maria, Tu la nostra luce. Ora ci chiedi di continuare nel cammino difficile verso la riconciliazione sociale e la pace. Sono tanti gli eventi che dimostrano l’urgenza di recuperare il senso della legalità, di abbandonare le vie dell’egoismo, di mettere da parte i silenzi che uccidono. Maria invita i suoi devoti a deporre ogni arma e strumento di offesa, a prendere le distanza da ogni forma di mala vita organizzata, a non collaborare in nessun modo con quanti hanno scelto la via del crimine, a non ricorrere mai alla vendetta e allo spargimento di sangue. L’unica via che i devoti di Maria devono perseguire è quella del perdono e dell’impegno a costruire un mondo accogliente e fraterno, ove non ci siano muri e steccati ed ogni confine sia aperto al fratello che straniero non è.
Ripartiamo dalla famiglia e riscopriamo la bellezza del focolare domestico. Qui a Polsi riconosciamo Maria come Madre e regina delle nostre famiglie. Tutti abbiamo bisogno di una madre che ci venga incontro con la sua tenerezza e compassione, che ci dia fiducia e ci aiuti a costruire un mondo più degno e umano. Sappiamo bene che “una società senza madre sarebbe una società disumana”. Tu, o Madre, in questa triste ora mostra la tua vicinanza a quanti soffrono per il grave sisma che ha distrutto case, sogni e speranze. Dona il riposo eterno e apri le porte del paradiso a quanti sono morti. Sia questo tragico evento un’opportunità preziosa per manifestare amore e solidarietà, in modo da vincere la tentazione dell’individualismo egoistico, vera piaga della nostra società. Questo oggi ti chiediamo: rendi più umana la vita nella nostra terra. Non possiamo assuefarci ad un mondo ci ha abituati alla competizione, che ci ha fatto perdere i valori essenziali, che ha reso difficile camminare secondo il Vangelo. Anche la nostra pratica religiosa rischia i perdersi dietro a tradizioni superate che portano a dimenticare il Vangelo della carità. Tradizioni che non hanno più cuore, perché hanno perso Gesù ed il rapporto con Lui, dietro la via facile dell’emozione e del divertimento di un momento. Urge recuperare il senso profondo della nostra fede, che non può essere ridotta a devozioni, a sterili riti e a cerimonie, che poco incidono nella vita di ogni giorno. Sono tanti i mali che affliggono la nostra società: la ricerca del profitto ad ogni costo, la concorrenza spietata sino alla soppressione dell’altro visto come avversario, la corruzione a tutti i livelli, la furbizia per raggirare la legge e non pagare le tasse. Sono mali diffusi che offuscano la nostra fede cristiana, comportamenti che vogliamo e dobbiamo abbandonare: non si addicono allo stile cristiano, sono una vera negazione della nostra fede, il contrario del Vangelo. Sviliscono la nostra umanità. Il cristianesimo c’insegna tutt’altro. Dio, che ha guardato l’umiltà di Maria, che predilige gli ultimi e i poveri, invita a liberarsi dai falsi ideali, a mettersi a servizio del più debole. C’è bisogno di sentire la vicinanza della madre, la tua vicinanza, o Maria. Tu ci trasmetti il senso più vero e profondo dell’esperienza religiosa. A Te affidiamo le nostre attese e speranze. Anzitutto il nostro grande bisogno di famiglia. La società ha bisogno di famiglie che vivano relazioni belle, umane, ove si può sperimentare la gioia dell’amore.
Carissimi fratelli e sorelle,
Non lasciamoci rubare il bene della famiglia. Ma non dimentichiamo che la sua forza “risiede essenzialmente nella sua capacità di amare e di insegnare ad amare. Per quanto ferita possa essere una famiglia, essa può sempre crescere a partire dall’amore” (AL 52). Purtroppo ai nostri giorni “non si avverte più con chiarezza che solo l’unione esclusiva e indissolubile tra un uomo ed una donna svolge una funzione sociale piena, essendo un impegno stabile e rendendo possibile la fecondità”. Anzi, “un matrimonio connotato da esclusività, indissolubilità e apertura alla vita finisce con l’apparire una proposta antiquata tra molte altre” (Ivi). Eppure il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della chiesa. Difendiamo la famiglia se vogliamo difendere la società. Ma quante sofferenze, quanti attacchi vive oggi la famiglia. E ancora di più la famiglia nel nostro Sud, ove la mancanza di lavoro toglie futuro e speranza. Si avverte che la difficoltà della famiglia nasce dai legami deboli, dalle crisi affettive, dai tanti fallimenti, ma anche dai legami compromessi da complicità e omertà, dai tradimenti, dagli autoritarismi, dalla “vergognosa violenza che a volte si usa nei confronti delle donne”, violenza verbale, fisica e sessuale. Fa’, o Maria, che l’amore rafforzato dalla grazia del sacramento del matrimonio, si dimostri più forte di ogni debolezza e di ogni crisi, attraverso le quali, a volte, passano le nostre famiglie.
C’è anche un’altra sfida che la famiglia oggi è chiamata a fronteggiare: la teoria del gender, che “nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna”, che “prospetta una società senza differenze di sesso”, impoverendo “la base antropologica della famiglia”. E’ facile comprendere come una teoria del genere metta in dubbio il significato tradizionale del matrimonio e della famiglia come comunità di vita e di amore fondata sulla diversità sessuale ed orientata al bene della coppia, alla procreazione, generazione ed educazione dei figli.
Sappiamo che ci vuole tanta umiltà per ricucire giorno dopo giorno legami famigliari fragili ed esposti a tanti fallimenti. Solo l’umiltà del cuore rende il marito capace di chiedere perdono a sua moglie e la moglie capace di ricostruire la pace domestica. Non dimentichiamo quanto ci ricorda il Signore: “Quanto più sei grande tanto più fatti umile” (Sir 3,18). E’ “dagli umili che Dio è glorificato”. Non è la prepotenza e l’arroganza, che ci rendono degni di rispetto, quanto l’umiltà che dispone al servizio. E’ questa la testimonianza che ci ha lasciato Maria, la donna del Magnificat. E’ questo che oggi ci chiede: l’umiltà!
L’umiltà che ha sostenuto un’altra mamma, santa Monica, di cui oggi celebriamo la memoria liturgica. Una madre che ha versato lacrime per la conversione del figlio, Agostino. Questi racconta nelle “Confessioni” che sua madre andava tre volte al giorno davanti al Tabernacolo a Ippona e chiedeva a Gesù che il suo Agostino diventasse “un buon cristiano”. Era tutto ciò che desiderava. Quando Agostino ha lasciato il Nord Africa e si trasferì a Milano, la madre lo seguì. Su una barca, attraversò il Mediterraneo ed andò a pregare per suo figlio. Al vescovo di Milano, Ambrogio, con le lacrime agli occhi disse che non sapeva cos’altro fare per la conversione del suo Agostino. Il Santo vescovo le disse semplicemente: “Figlia mia, è impossibile che Dio non converta il figlio di tante lacrime”. E così avvenne. Sant’Agostino, ascoltando le prediche di Sant’Ambrogio, si convertì: fu battezzato da lui, ordinato sacerdote e poi eletto vescovo. Tutto perché quella madre non si è stancata di pregare. Nelle “Confessioni”, Agostino scriverà che le lacrime di sua madre davanti al Tabernacolo erano come “il sangue del suo cuore stillato in lacrime nei suoi occhi”. Dio non resiste alle lacrime e alle preghiere di una madre!
Due madri, Maria e Monica, che hanno accolto la maternità come dono di amore e l’hanno vissuta sino in fondo. Ad entrambe chiediamo che le famiglie di questa nostra terra ritornino ad essere palestra di umanità, di fraternità e di fede. Amen.
Vescovo Francesco Oliva