Riace indossa gli abiti della festa per omaggiare i Santi Medici, Cosma e Damiano. Il Borgo dell’accoglienza è un paese di 1820 abitanti con una storia plurimillenaria che affonda le sue radici nella notte dei tempi. Testimonianze del periodo greco, romano e medioevale son ben visibili nella città antica e nell’hinterland dell’alta Locride. Crocevia di popoli provenienti dall’oriente, vicina a scali marittimi frequentati già in epoca remota, Riace ha subito gli influssi delle varie culture, greca in particolare, provenienti dalle regioni del mediterraneo orientale. In epoca cristiana il culto dei vari Martiri e dei primi Santi ha trovato nella città locridea un humus particolare e molte sono le testimonianze che si rifanno al periodo paleocristiano e altomedioevale. Tracce evidenti del culto dei Santi Medici Cosma e Damiano a Riace risalgono all’ XI secolo. La prima notizia, in senso assoluto, della presenza di una chiesa dedicata ai due Martiri è riportata negli atti del convegno storico del 1996 di Montestella e risale alla fine dell’XI sec. Secondo questo studio fu fondata dall’igumeno di San Giovanni Theristis, Bartolomeo, su un terreno donato dallo stratega Turoldo. Questo sacro luogo di culto venne costituito metochio nel 1101, per volere testamentario dello stesso Bartolomeo, e affidato allo ieromonaco Marco. Da una donazione del gennaio 1154 risulta che il piccolo cenobio, del quale oggi si è persa ogni traccia, si trovava lungo il torrente Nipitino, nella contrada omonima situata non molto lontana dal centro abitato di Riace. I festeggiamenti nel Santuario di Riace si fanno risalire al 1669, quando le reliquie di san Cosma furono portate da Roma, ma Cosimo e Damiano furono istituiti santi patroni di Riace solo nel 1734. Da oggi domenica 25 al 27 settembre la Chiesa festeggia solennemente i due fratelli Anargiri. Giorni in cui la devozione popolare diviene forza evocativa e momento di religiosità pura, dove ad un’interrotta preghiera di supplica si congiungono atti spirituali votivi che rivelano quanto l’essere umano è provato dalla sofferenza, ma anche sorretto dalla fede e dalla sete di un Dio misericordioso. Gesti e segni che qui generano domande sull’esistenza, sull’umanità alla ricerca di un senso. Lo sguardo si posa sui piedi scalzi dei pellegrini che arrivano al santuario dedicato ai Santi Medici: piedi consumati, contusi che dipingono nella realtà il viaggio della vita. E poi i canti, le invocazioni, le lodi, le testimonianze appaiono dense di significato, di un tempo che sfugge ad ogni distanza per favorire l’animo alle promesse di una fervida speranza. Quella di oggi è anche la festa degli zingari, rom e sinti, che caratterizza con questa festosità l’atmosfera di Riace. I loro costumi, il loro status vivendi così particolare e inconsueto, e quelle loro appassionate piroettate folkloristiche. La loro danza cattura l’energia in ogni soffio d’aria nell’asimmetria dei loro movimenti, veri svolgimenti di un’armonia afferrata nelle leggi di gravità. Essi guardano il mondo che li circonda come avessero in mano le chiavi della felicità. Indossano il presente di ogni età, si nascondono dietro i loro sgargianti costumi nei toni della malva, del verde, del rosso e dell’oro ornati di nastri, gioielli e ricami. Questo dichiara concretamente la loro identità. Un’identità preziosa questa dei rom, che si integra alla rottura della routine, dove convergono solo usi e costumi ormai tutti conformati a perbenismi astiosi.
Elia Fiorenza
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