Il parroco aveva annunciato la sospensione dei preparativi per l’esclusione di alcuni portantini. In serata l’intervento chiarificatore del vescovo Nostro. La Prefettura: «Nessun divieto»
Giornata di tensione a Stefanaconi, nel Vibonese, dove era esplosa la polemica intorno ai tradizionali riti pasquali e, in particolare, alla celebrazione dell’Affrontata, simbolo identitario della comunità. A generare confusione era stato, in mattinata, l’annuncio del parroco don Maurizio Raniti, che aveva comunicato ai fedeli la sospensione dei preparativi, in seguito alla richiesta della Diocesi di Mileto di escludere alcuni portantini per vincoli di parentela con soggetti con precedenti penali.
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A chiarire la situazione è intervenuta direttamente la Prefettura di Vibo Valentia, smentendo categoricamente ogni voce su un presunto divieto imposto dall’autorità governativa:
«Nessun provvedimento è stato emanato dalla Prefettura contro le processioni di Pasqua a Stefanaconi» – hanno precisato in via ufficiale gli uffici del prefetto Anna Aurora Colosimo.
A rassicurare ulteriormente la comunità è stato, in serata, il vescovo Attilio Nostro, che durante le celebrazioni del Venerdì Santo nella chiesa di San Nicola Vescovo, ha annunciato con chiarezza:
«L’Affrontata si farà».
L’episodio ha riportato l’attenzione sul piccolo centro alle porte di Vibo Valentia, già finito sotto i riflettori per il commissariamento dell’amministrazione comunale per infiltrazioni mafiose. Non è la prima volta che la celebrazione dell’Affrontata viene travolta dalle polemiche: nel 2014, il rito fu commissariato nell’ambito dell’operazione antimafia “Romanzo Criminale” contro il clan Patania, dopo che alcuni esponenti del clan erano soliti portare in spalla le statue come gesto di ostentazione del potere.
Da allora, la cerimonia era stata affidata alla Protezione civile e sottoposta al controllo della Prefettura e delle Forze dell’ordine, per poi tornare gradualmente alla sua gestione tradizionale. La vicenda odierna riapre una riflessione più ampia sulla necessità di preservare i riti religiosi, nel rispetto della legalità e delle sensibilità di una comunità ancora segnata da ferite profonde.