De Raho: anche in vicenda insopportabile presenza ‘ndrangheta
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“Una vera e propria discesa agli inferi”. E’ il giudizio del gip di Reggio Calabria Barbara Bennato per descrivere l’allucinante violenza cui è stata costretta una giovanissima originaria di Melito Porto Salvo sin da quando aveva 13 anni e durata per due anni, fino all’estate 2015. Ma “l’accompagnatore” della ragazzina, stavolta, non è il Virgilio dantesco, ma indossa, secondo l’accusa, i modi violenti e ricattatori tipici della ‘ndrangheta: Giovanni Iamonte, 30 anni, figlio di Remingo, nipote dell’ex patriarca della
ndrangheta del basso Ionio reggino, Natale Iamonte. Attorno a Iamonte, secondo l’accusa, ha ruotato un gruppo di giovanissimi che provvedevano, ha detto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gaetano Paci, “letteralmente a sequestrare la ragazzina all’uscita della scuola media costringendola a salire in macchina per condurla proprio da lui, da Giovanni Iamonte”.
“Una vicenda dolorosa – ha detto il comandante provinciale dell’Arma Lorenzo Falferi – che denota non solo il gravissimo stato di soggezione della vittima e della madre a causa del potere mafioso dello Iamonte, ma di una comunità”. Tutto inizia quando la ragazzina si innamora di un ragazzo che gravita negli ambienti legati agli Iamonte: la madre è dipendente di una ditta che fa capo a Giovanni Iamonte, mentre il padre ne sarebbe un lontano parente.
“Per quasi due anni – ha spiegato il procuratore Federico Cafiero de Raho – le violenze, i ricatti e le intimidazioni, condizionano la giovanissima costringendola al silenzio proprio per il timbro minaccioso che lo Iamonte rappresenta visibilmente nella società, e perché anche teme che quella sua storia possa ripercuotersi sulla così detta ‘immagine’ della sua famiglia e
sul suo futuro nel caso in cui dovesse diffondersi”. Quando nel 2015 la giovane si innamora di un altro ragazzo e decide di interrompere il ricatto mafioso la “reazione del gruppo Iamonte – ha detto il comandante della Compagnia carabinieri di Melito Porto Salvo Giovanni Piccioni – è
immediata, il giovane prelevato dal clan, condotto in un luogo isolato e massacrato di botte”. Dopo questo episodio sono giunte le prime segnalazioni anonime ai carabinieri. Dalle indagini subito avviate emerge anche che il padre della ragazzina, subito dopo l’aggressione al giovanissimo fidanzato della figlia, chiede “conto” a Giovanni Iamonte della situazione e da quel momento la ragazza non viene più minacciata.
“E’ un sintomo – ha commentato Cafiero de Raho – di quanto sia ormai insopportabile la presenza della ‘ndrangheta in queste realtà, anidride carbonica pura per chi ha invece bisogno di
respirare ossigeno e libertà. Pensano di fare ogni cosa e di restare impuniti ma i cittadini devono reagire, svegliarsi, perché il nemico non è lo Stato ma loro, gli ‘ndranghetisti e i loro complici, ovvero, chi sapendo ha visto e ha taciuto”.