Sab. Apr 27th, 2024

Intervista a Mimmo Lucano, ai domiciliari con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e frode nell’appalto sui rifiuti. «Mi si contesta che le cooperative a cui è stato affidato il servizio non fossero iscritte all’albo regionale, ma quell’albo non era operativo. Poi si parla di “matrimoni” finti, ma né stato celebrato solo uno, ed è reale»

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«Quando mi hanno suonato alla porta non ero neanche sicuro che cercassero me. Sono uscito per capire cosa stesse succedendo. Mi hanno detto “sindaco deve venire con noi” e mi è caduto il mondo addosso. Però l’avvocato non l’ho chiamato subito, era presto. Mi dispiaceva svegliarlo». Nella voce di Mimmo Lucano c’è tutto lo stupore di un uomo onesto che precipita in un incubo. In mezzo ci sono una giornata – la prima agli arresti domiciliari – passata come un leone in gabbia fra le quattro mura della sua casa, misurata a grandi passi chiedendo “perché”, un’ondata di solidarietà forse inaspettata, una notte insonne, l’interrogatorio di garanzia. Quasi tre ore durante le quali agli inquirenti spiega punto per punto la sua versione dei fatti, difende il modello Riace, ribadisce che né lui né nessun altro ci hanno mai guadagnato un euro. Una precisazione non necessaria – lo stesso gip lo scrive nero su bianco nell’ordinanza di custodia cautelare, smontando molte delle contestazioni della Procura – ma che Lucano ha voluto comunque fare. Di fronte al gip Domenico Di Croce e al pm Michele Permunian che ha ereditato l’inchiesta dal collega che l’ha istruita ed oggi ha cambiato sede, il sindaco di Riace parla, quasi senza lasciar loro neanche il tempo di fare domande. Poi ricomincia a respirare. È stanco, ma sollevato. Finalmente ha potuto difendersi.
Dopo l’interrogatorio il suo telefono non ha smesso di squillare. È bastato dire di fronte al tribunale assediato dai giornalisti «non ho alcun divieto di comunicazione» perché cominciassero a chiamarlo da ogni parte d’Italia. Amici, compagni di strada, colleghi. Una chiamata è arrivata anche da Ada Colau, la sindaca di Barcellona, dove ieri si è svolto un presidio di solidarietà. E tanti assicurano che sabato saranno a Riace, per mostrare fisicamente e numericamente il proprio sostegno.

 

Dopo il suo arresto, in tanti si sono mobilitati. Associazioni, comitati, politici come il presidente della Regione Mario Oliverio e l’ex Agazio Loiero, artisti, intellettuali, attori, centinaia di semplici cittadini. Si aspettava quest’ondata di solidarietà?
«Io voglio ringraziare tutti, davvero tutti. Sono stupito, non mi aspettavo questa mobilitazione. I miei fratelli mi dicono che anche in paese chi mi ha sempre osteggiato adesso si dice dispiaciuto e contrariato per quello che è successo. Persino Sgarbi, che politicamente da me è lontano anni luce, in parlamento mi ha difeso. È importante perché significa che tutti hanno capito cosa sia davvero Riace, cosa abbiamo fatto qui e che non ci siamo mai messi in tasca un centesimo».

Anche il giudice lo riconosce in alcuni passaggi dell’ordinanza.
«Assolutamente sì. Durante l’interrogatorio mi ha detto “io umanamente sono con lei”. In realtà non era uno dei temi previsti, ma ho voluto comunque spiegare alcune cose. Né io, né altri ci siamo mai messi in tasca un euro. Anche quando mi sono stati riconosciuti dei premi in denaro, ho messo tutto a disposizione della comunità, non ho mai tenuto niente per me. Nessuno qui ha mai fatto favori a nessuno. Altrove nei progetti gestiti dai Comuni, trovi mogli, figli, parenti, amici. Qui non c’è niente di tutto questo».

Quando le erano state contestate queste accuse?
«L’anno scorso ho ricevuto un avviso di garanzia per truffa allo Stato, malversazione, concussione. Il giudice è stato chiarissimo su questo, ha scritto più volte che non ci sono elementi, che sono congetture. Ma io ho passato un anno a scervellarmi. Non capivo a cosa si riferissero con l’accusa di concussione. Poi ho scoperto che tutto è nato da una denuncia di un personaggio che loro stessi definiscono poco attendibile e che aveva già avuto guai. Ma come si fa a prendere per buono quello che dice senza neanche verificare? Io non capisco».

Che idea si è fatto dell’inchiesta?
«Continua a sembrarmi tutto assurdo, ma io credo nella giustizia. In una giustizia giusta. Spero solo che questa vicenda non diventi un fatto personale, o politico. Ho combattuto le ecomafie, salvato vite mentre nei ministeri c’era chi faceva accordi per istituire lager in Libia e io vengo arrestato? Mi sembra che quello che mi viene contestato sia il reato di umanità. Anche il giudice lo ha detto durante l’interrogatorio, però mi dice “ci sono le regole”.

E lei le ha violate le regole?
«Ho sempre rispettato la Costituzione, che alla base ha il rispetto della dignità umana. Per il resto, credo di aver chiarito tutto, punto per punto».

Può spiegarlo anche a noi?
«Partiamo dalla differenziata. Mi si contesta che le cooperative sociali a cui è stata affidata non fossero iscritte all’albo regionale, ma quell’albo non è stato operativo fino al 2016. Però per capire è necessario spiegare anche il contesto in cui sono nate e il motivo».

Quali sono?
«Quando sono diventato sindaco per la prima volta la Locride era in piena emergenza rifiuti. Anche a Riace in centro storico c’erano cassonetti pieni, che non venivano mai lavati e spesso venivano dati alle fiamme, con tutto quello che ne consegue in termini di sostanze tossiche. In più, un anno dopo l’inizio del mio incarico, la ditta che se ne occupava fa sapere che avremmo dovuto appostare in bilancio anche le risorse per la differenziata, ma non veniva fatta a dovere. Non avevano dato neanche i contenitori, c’erano solo altri cassonetti comuni in centro. Noi volevamo che si gestisse porta a porta, anche per venire incontro agli anziani del paese, ma ci dicevano che era troppo costoso».

Quindi cos’è successo?
«Mi sono messo a studiare, mi sono informato, ho letto libri, ho capito che i rifiuti possono diventare una risorsa. Abbiamo fatto assemblee pubbliche per spiegarlo e coinvolto i cittadini di Riace. È in questo contesto che sono nate le cooperative, regolarmente registrate dal notaio. Alla scadenza del contratto con la precedente ditta, abbiamo deciso di non rinnovarlo perché il servizio non era soddisfacente».

È in quel momento che avete deciso di affidarlo alle cooperative?
«Sì, anche perché in un settore – è dimostrato – infestato dalle ecomafie, volevamo tenere questa gente più lontana possibile da Riace. Le cooperative poi hanno dato opportunità anche ai riacesi, a quelli più sfortunati, non solo ai rifugiati. Fin dal primo giorno ad esempio con “l’Aquilone” ha lavorato Biagio. Lui è una persona semplice, uno degli ultimi del mondo. Prima veniva sfruttato a giornata nei latifondi della zona, andava a lavoro a piedi e non gli hanno mai versato tutti i contributi. Lui ha un rapporto speciale con gli animali, si è sempre occupato degli asinelli del parco delle tre fontane. Quando ha firmato il contratto si è messo a piangere e piangeva pure ieri quando è venuto qui davanti a casa. È venuto anche un gruppo di rifugiati».

A proposito di rifugiati, la magistratura la accusa di aver combinato matrimoni per fornire documenti.
«Intanto c’è un solo matrimonio che è stato celebrato ed è reale. Sul secondo, che poi non è stato celebrato, ci sono varie cose da chiarire, per questo è bene spiegare tutta la storia. Un’attivista pugliese che si è trasferita qui per un anno ha aiutato una ragazza nigeriana ad allontanarsi da un giro di prostituzione. Non era una delle ospiti dei progetti di accoglienza di Riace».

Lei come ci entra in questa storia?
«Questa attivista è venuta a parlarmi perché aveva preso a cuore la situazione, ma la ragazza aveva già ricevuto due dinieghi alla richiesta d’asilo e secondo il decreto Minniti avrebbe dovuto essere espulsa. Rischiava di fare la fine di Becky Moses. Un incubo per me. Se fosse tornata nel suo Paese, poi, la sua vita sarebbe stata in pericolo. Pur di aiutarla, questa signora sarebbe stata anche disposta a sposarla, ma le unioni civili in questo caso non servono. Poi è venuta a dirmi che c’era un signore di Riace che avrebbe voluto aiutarla, ma quando mi sono reso conto che non c’erano le condizioni sono stato io a bloccare tutto».

E per quanto riguarda il matrimonio della sua compagna in Etiopia?
«Anche lì c’è un equivoco da chiarire. L’unica cosa che ho fatto è stata rimediare ad un errore burocratico fatto in precedenza. Quando è arrivata a Riace non riusciva ad esprimersi bene in italiano ed è stata registrata come coniugata, ma non è mai stata sposata. Quando ha sollecitato un certificato di stato civile, ho solo chiesto che glielo facessero corretto».

Gli inquirenti dicono però che lei avrebbe anche fatto pressioni sulle autorità diplomatiche italiane quando il fratello di Lemlem è stato arrestato.
«Ma quali pressioni? Avevo conosciuto da poco l’ambasciatore italiano in Argentina e si era mostrato molto disponibile. L’ho semplicemente chiamato per sapere cosa si potesse fare. L’Etiopia non è come l’Italia e non lo era soprattutto in quel periodo. Gli arresti sono spesso arbitrari, non c’è modo di sapere dove molti vadano a finire. Quando Lemlem è tornata in Italia era disperata perché non riusciva ad avere notizie e ho solo provato ad aiutarla. Tutto qua».

In una conversazione lei si definisce un “sindaco fuorilegge”.
«Quell’affermazione è stata totalmente travisata. Si trattava di un discorso politico sul decreto Minniti, una legge che si basa su accordi con la Libia, dove ci sono i lager per i migranti, ed elimina uno dei gradi di giudizio, perché le possibilità di ricorso alla commissione territoriale contro il diniego dell’asilo passano da tre a due. Non ho mai nascosto di essere contrario alle politiche sull’immigrazione dell’ex ministro dell’Interno e “sono un fuorilegge” significava esattamente questo».

Il prefetto l’ha sospesa dall’incarico, c’è chi l’ha invitata alle dimissioni. Dovessero revocare gli arresti domiciliari e la sospensione continuerà a fare il sindaco?
«Certo, io da qui non me ne vado».

Alessia Candito

Corriere della Calabria

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