Ven. Apr 26th, 2024

Le rivelazioni del boss di Cosa Nostra in videoconferenza dal carcere di Terni nel processo che si celebra a Reggio per gli attentati in cui persero la vita due carabinieri. Nelle parole registrate dagli inquirenti il capo clan parla anche del leader di Forza Italia: «Ha tradito i patti con noi»

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«Nel dicembre 1993, mentre ero latitante, incontrai Berlusconi a Milano. Berlusconi sapeva come mi chiamavo. E sapeva che ero latitante da dieci anni. Alla riunione ha partecipato anche mio cugino Salvo e con Berlusconi c’erano persone che non conoscevo. Dovevamo discutere dell’ingresso di alcuni soci nelle società immobiliari di Berlusconi». A rivelarlo, deponendo in videoconferenza al processo sulla ‘ndrangheta stragista a Reggio Calabria, è il boss mafioso Giuseppe Graviano. In un primo momento il boss, collegato in videoconferenza, ha chiesto di potere ascoltare le intercettazioni con il camorrista Umberto Adinolfi. Si tratta di 32 conversazioni tra il boss Giuseppe Graviano e Umberto Adinolfi in cui Graviano parla, tra le altre cose, anche di Silvio Berlusconi. «Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi…», dice Graviano nell’intercettazione registrata dalla Dia. E ancora: «Gli faccio fare la mala vecchiaia… 30 anni fa mi sono seduto con te…».
Ma pur essendo disposto a chiarire di cosa parlava nelle intercettazioni, Graviano aveva chiesto prima di ascoltare. Da mesi. Già la volta scorsa il Pm Giuseppe Lombardo aveva chiesto al carcere di Terni di occuparsi del computer. Ma ad arrivare sarebbe stato solo un vecchio lettore cd.
Sono passati già diversi mesi da quando il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, imputato assieme a Rocco Santo Filippone nel processo ‘Ndrangheta stragista, ha dato la sua disponibilità all’esame del pm, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Unica “condizione” posta, appunto, è quella di potere riascoltare quelle intercettazioni che lo hanno visto protagonista di un dialogo con il camorrista Umberto Adinolfi, durante il passaggio nel carcere di Ascoli Piceno, in cui parlava anche degli anni delle stragi, della sua latitanza, del suo arresto, delle modalità di concepimento del figlio e non mancava anche un riferimento a Silvio Berlusconi. Atti che furono depositati al processo trattativa Stato-mafia, trasmessi anche a Caltanissetta, a Firenze (che ha riaperto le indagini sui mandanti esterni delle stragi) e a Reggio Calabria che ha depositato quelle parti in cui si fa anche riferimento alla Calabria. Per il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che ha coordinato l’inchiesta, Graviano, insieme al boss calabrese Rocco Filippone è il mandante degli attentati contro i carabinieri, costati la morte ai brigadieri Fava e Garofalo e gravi ferite ad altri quattro militari, con cui la ‘ndrangheta ha partecipato alla stagione degli attentati continentali fra il ’93 e il ’94.

GLI INCONTRI CON BERLUSCONI «Verso la fine del 1993 – spiega rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo – si tenne una riunione a Milano 3, per regolarizzare questa situazione. Siccome Berlusconi aveva detto di sì mio cugino ha detto di andare a incontrarlo. “Vediamo che intenzioni ha”, disse, ed così è stato fissato l’appuntamento a Milano 3. Fino a quel momento questi soggetti che dovevano entrare in affari con Berlusconi non apparivano». «In quell’occasione fu programmato un nuovo incontro, per febbraio, ma io il 27 gennaio 1994 venni arrestato a Milano. un arresto anomalo…», dice ancora Graviano.
«Da latitante ho incontrato Berlusconi almeno per tre volte». Ha sostenuto, proseguendola la sua deposizione – . Fu mio nonno ad avere i contatti con gli imprenditori milanesi. Poi, quando è morto mio padre, mi prese in disparte e mi disse “Io sono vecchio e ora te ne devi occupare tu”. Poco dopo mio nonno, che aveva più di 80 anni, morì».
«Già nel 1992 Berlusconi annunciò a mio cugino Salvo che voleva entrare in politica». Ha sottolineato Graviano. Io non lo incontrai – dice – ma lo incontrò mio cugino Salvo a cui Berlusconi parlò di questo progetto di entrare in politica».
«Con Berlusconi cenavamo anche insieme. È accaduto a Milano tre in un appartamento”. Ha poi rivelato Graviano. «Tramite mio cugino avevamo un rapporto bellissimo», dice confermando alcuni passaggi che il pm Giuseppe Lombardo gli legge delle intercettazioni con il boss Umberto Adinolfi nel carcere di Terni.

«BERLUSCONI FU UN TRADITORE» «Berlusconi fu un traditore, perché quando si parlò della riforma del Codice penale e si parlava di abolizione dell’ergastolo mi hanno detto che lui chiese di non inserire gli imputati coinvolti nelle stragi mafiose». A rivelarlo è il boss mafioso Giuseppe Graviano, deponendo in videoconferenza, al processo sulla ‘ndrangheta stragista a Reggio Calabria. Il Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo gli ha letto l’intercettazione del 19 gennaio 2016 quando, conversando con il boss Umberto Adinolfi, disse: «Berlusconi prese le distanze e fece il traditore». E oggi conferma quella frase e spiega i motivi di quel “tradimento”. “Un avvocato di Forza Italia mi disse che stavano cambiando il Codice penale – dice ancora Graviano – e che doveva darmi brutte notizie. Perché in Parlamento avevano avuto indicazioni da Berlusconi di non inserire quelli coinvolti nelle stragi. Lì ho avuto la conferma che era finito tutto. Mio cugino Salvo era morto nel frattempo per un tumore al cervello. E nella riforma del Codice penale non saremmo stati inseriti tra i destinatari dell’abolizione dell’ergastolo». E aggiunge: «Questo mi portò a dire che Berlusconi era un traditore».

LE RIVELAZIONI DEL BOSS Negli anni Ottanta alcuni boss mafiosi avrebbero preparato un attentato al capo dei capi Totò Riina. A rivelarlo, deponendo al processo sulla ‘ndrangheta stragista in corso a Reggio Calabria, è il boss mafioso Giuseppe Graviano. «La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’omicidio Costa (il giudice Gaetano Costa ndr). Quindi, il signor Riina ha deciso di mettere delle regole, insomma un po’di democrazia, perché non potevano prendere le decisioni solo Salvatore Bontade e Gaetano Badalamenti». E ricorda la costituzione della Commissione di Cosa nostra. «Michele Greco era un uomo di pace, non per niente lo hanno fatto diventare “Papa” e ha messo delle regole che si dovevano togliere delle vergogne».
E ricorda un incontro avvenuto «nel febbraio 1981». quando era pronto un «agguato a Riina». E in quell’occasione chiesero l’intervento di Michele Greco, boss di Ciaculli. «Che disse “io sono per la pace, posso intervenire per la pace, io non posso continuare se avete queste intenzioni. A me non dovete più parlare di nessuna intenzione».

SERVIZIO DI GIANLUCA SCOPELLITI
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