Ven. Apr 26th, 2024

La vita con la nonna, le donne, i soldi, poi la crisi professionale. L’attore delle commedie sexy all’italiana, campione d’incassi negli anni Settanta e Ottanta, si racconta: “Rappresentavamo un immaginario erotico. Oggi anche le classi colte apprezzano quei film”

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Alvaro Vitali, cosa faceva prima di diventare attore?

“L’elettricista a Trastevere. Un giorno venne a trovarmi uno del mio quartiere, Pippo Spoletini, che di mestiere faceva il capogruppo sui set: reclutava le comparse per il cinema. Mi disse che Federico Fellini cercava un ragazzino magro come me. “Chi è Fellini?” gli chiesi”.

Fellini era già una celebrità mondiale.

“Sì, sì, ma capirai, io al cinema andavo a vedere i film con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia”.

Che anno era?

“Il 1969, avevo diciotto anni. Facevo il ragazzo di bottega in un negozio di piazza Mastai. Il principale, Gino Segarelli, mi passava 16mila lire a settimana”.

Il cinema quindi non fu una vocazione?

“No, fu un grande regalo della vita. Il sabato successivo mi ritrovai nel teatro numero 5 di Cinecittà, circondato da clown, mangiafuochi, ballerine. Mi fecero attendere sette ore seduto su una panchina. Poi fecero entrare me e un ragazzo napoletano in una sala enorme, avevo un faro puntato contro alle cui spalle scorsi una macchina da presa enorme. Su una scala svettava un signore di cui, accecato, distinsi soltanto il cappello e una sciarpa”.

Fellini.

“Disse soltanto, con voce stridula: “Chi di voi sa fare il fischio del merlo?” Fischiai a tutti i polmoni. La vocina disse: “Maurizio, prendi lui che l’altro sta ancora aspettando il merlo”.

Non lo vide in faccia?

“Non quel giorno. Era come una figura che stava nell’aldilà”.

Chi era Maurizio?

“Maurizio Mei, l’assistente di Fellini. Non sapevo fischiare come il merlo, ma non importava, era un test su chi fosse più sveglio, più motivato. Vinsi io”.

Che film era?

Satyricon. Ebbi una particina, dovevo fare un imperatore”.

Qual era il suo compenso?

“Settantamila lire al giorno, per sette giorni di lavoro”.

Prendeva al giorno più di quello che guadagnava come elettricista in un mese.

“Sì, ma dopo quella settimana tornai in bottega. Quando Fellini girò Roma Spoletini tornò in bottega e mi disse che stavolta avrei avuto una particina più importante: il ballerino di tip tap. “Ma io non so ballà!” obiettai. “Impari!”, rispose Pippo e mi spedì alla scuola di Gino Landi. Imparai in due settimane. Quando Fellini mi vide si complimentò”: “Sei un fenomeno, come hai fatto?”. “È la fame, dottò!”, risposi”.

Era fatta?

“Ci fu un terzo film, I clowns. Girammo a Parigi. Non ero mai uscito fuori da Roma, né preso un aereo. Fellini era divertito dal mio stupore di fronte a quel che vedevo. “Ti piace questa vita eh?”, diceva”.

Eravate diversissimi.

“Lo divertiva la mia indole popolare. Mi chiedeva: “Ti è piaciuto Giulietta degli spiriti?” “Sì”, mentivo. “E cosa ci hai capito?” “Un cazzo, dottore”. Fellini ne rideva”.

Poi arrivò Amarcord.

“Sì, girato interamente a Cinecittà. Era il 1973 e io avevo ormai 22 anni. Di fronte a quell’ennesima assenza dal lavoro Segarelli mi licenziò. Andai a dirlo a Fellini. “Ci parlo io”, disse”.

Lo fece?

“No, anche perché ormai avevano assunto un altro garzone al posto mio. “Facciamo così – disse Fellini – tu mi serviresti per quindici giorni, ma vieni lo stesso sul set, ti vesti, ti trucchi, e così figuri presente. Così feci, per sette mesi, per l’intera durata delle riprese. Guadagnavo 150mila lire al giorno”.

Erano bei soldi?

“Altroché. Fellini è stato di una generosità enorme con me. Vidi come gestiva la troupe. Come dispiegava il film. Aveva la sceneggiatura in testa. Un mostro di intelligenza”.

Di cosa parlavate?

“Nelle pause dipingeva gli attori. A me mi disegnava come una zanzara. Un giorno mi chiese di seguirlo sulla spiaggia di Ostia: doveva posare per la copertina di Vogue in Francia”

Con lei?

“Vestito da prete dovevo giocare con un aquilone. Quando arrivai a casa scoprii che mi aveva infilato ventimila lire nella tasca della giacca”.

Cosa fece con i primi soldi guadagnati?

“Comprai casa a nonna Elena, in via Oderisi da Gubbio, nel quartiere Marconi”.

Che famiglia era la sua?

“Papà aveva una piccola impresa edile a conduzione familiare. Mamma gestiva un baretto nello stabilimento della Titanus sulla Tiburtina. Vivevamo in via San Francesco a Ripa, a Trastevere”.

E quindi il cinema c’entrava in qualche modo.

“Mamma portava i cestini sui set. Lei e papà fecero pure le comparse per Napoli milionaria, il film di Totò”.

Che scuole ha fatto?

“Ho abbandonato dopo la terza media. Ne combinavo di ogni colore. A otto anni mi trasferii dalla nonna, in via della Luce”.

A otto anni?

“Sì, una mattina feci fagotto e andai via. Con mia madre erano litigate continue”.

Sembra un racconto di Dickens.

“Ho vissuto con lei fino a 32 anni”.

Anche se ormai era già un attore famoso?

“Sì, sì. Fellini era intenerito da questa storia, se la faceva ripetere spesso”.

Come arriva alle commedie scollacciate?

Amarcord mi diede notorietà. Il regista Nando Cicero, che era stato l’aiuto di Francesco Rosi, stava preparando L’insegnante, con Edwige Fenech. Mi chiamò. Dovevo interpretare un alunno siciliano che le sbavava dietro. Non poteva chiedermi di meglio: mi ero sempre ispirato a Lando Buzzanca”.

La prese come una retrocessione?

“Dalle stelle alle stelle, eh (Vitali ride).

Fu l’inizio di una serie interminabile di commedie soft-erotiche.

“I cinema scoppiavano. La lavorazione durava tre settimane: costi all’osso e incassi mirabolanti. Una manna”.

Quanti film ha fatto?

“Circa centocinquanta”.

Ed è diventato ricco?

“Cambiavo macchine ogni tre mesi. E donne”.

Ha avuto molti flirt?

“Abbastanza”.

Era la spalla delle dottoresse, delle insegnanti.

“Ho lavorato con le principali sex simbol degli anni Settanta. Ero invidiatissimo”.

Edwige Fenech in La poliziotta fa carriera (1975) 

Com’era Edwige Fenech?

“Una sorella. Veniva con noi in mensa. Aveva un bimbo piccolo, Edwin, che mangiava solo perché io lo facevo ridere. Da grande è diventato un produttore, purtroppo non mi ha mai chiamato”.

Gloria Guida?

“Mi ricordo l’imbarazzo che provò la prima volta che si dovette togliere il reggiseno sul set”.

Michela Miti?

“La scelsi per la serie di Pierino, perché era acqua e sapone mentre io ero un paraculetto”.

Nadia Cassini?

“Aveva un marito molto geloso, che preferiva tenerla lontana dalla troupe”.

Lei ha lavorato anche con Sofia Loren.

“Oh, Sofia, grandissima! Un’altra che non se la tirava”.

Ma chi li vedeva quei film?

“Il popolo! L’Italia profonda. Soprattutto comitive di ragazzetti. L’élite invece ci disprezzava”.

Si stupisce?

“Beh, oggi invece in tanti anche delle classi colte li guardano volentieri quando passano in tv.  Erano prodotti con tempi comici ben fatti. Piacciono molto ai preti”.

I preti?

“Sì, me lo confessano loro stessi. Faccio ancora molte serate in provincia, talvolta sono organizzate dalle parrocchie. Spesso il sacerdote mi prende in disparte e mi confida la sua ammirazione”

Le cito alcuni titoli: “La liceale nella classe dei ripetenti”; “La ripetente fa l’occhiolino al preside”; “La dottoressa del distretto militare”.

“E La dottoressa sotto le lenzuola, con Karin Schubert. O Per amore di Poppea, con Maria Baxa” (Vitali ride e continua l’elenco dei tanti film che ha fatto).

Recitava sempre una sola parte: quello del ragazzino imbranato turbato dalla bellona di turno.

“In quell’Italia provinciale molti si identificavano in me: rappresentavamo un immaginario erotico”.

Oggi non sarebbero politicamente scorretti?

“Erano una presa in giro, a bene vedere, del maschio italiano: della sua doppia morale. Tutta casa e famiglia in apparenza, e fuori invece gran peccatore”.

Denunciavano un’ipocrisia democristiana?

“La presa in giro del latin lover nostrano”.

Ha lavorato con Alberto Sordi?

“In Polvere di stelle. Poi mi voleva in Un borghese piccolo piccolo. Ma poi il mio agente non si è messo d’accordo. Peccato, poteva essere l’inizio di una storia diversa”.

Come ripensa a quell’Italia?

“Con nostalgia. Mangiavano tutti. E noi abbiamo fatto ridere un’intera generazione”

Erano anni di forte impegno.

“Lo so bene. Io sono di sinistra, all’epoca votavo Pci”.

Alvaro Vitali comunista?

“Sì, tutta la mia famiglia votava Pci. Ho più volte attaccato i manifesti, annunciato comizi, giravo con l’auto con l’altoparlante sul tetto e davo gli annunci: “Stasera parlerà l’onorevole Pajetta!”.

In molti si sorprenderanno.

 “Avevo uno zio, Franco Vitali, che lavorava a Botteghe Oscure. Andava spesso a Mosca. Ma il Pci non mi ha mai invitato una sola volta alla festa dell’Unità: a me piaceva andarci,  ci sono sempre andato da privato”.

Oggi vota Pd?

“No, per me il Pd è la Dc. Volevo votare per i partiti minori della sinistra, ma poi mi sembrava una preferenza persa. Mi sono astenuto. Quando tornerà la vera sinistra tornerò al seggio”.

È famoso più per i film di Pierino o per le commedie sexy?

“Non so. Certo Pierino fece il botto. Pierino contro tutti frantumò tutti i record d’incassi. Era il 1981. E io avevo 31 anni”.

E viveva ancora con la nonna.

“Sì, sì. Viziato eh?” (Ride)

Quanto era famoso?

“Non potevo entrare in un ristorante. Non avevo vita privata. Il successo può diventare una prigione: devi stare attentissimo, essere sempre disponibile con la gente”.

E poi a un certo punto lei è scomparso.

“Sì, il telefono ha smesso di squillare”.

Quando è successo?

Per Paulo Roberto Cotechino centravanti di sfondamento, nel 1983, presi cento milioni di lire di anticipo, ma il film incassò molto meno rispetto alle attese. Uscì di scena”.

Un filone si era esaurito.

“Non è vero. In quegli anni partì quello dei cinepanettone. Potevo entrarci. Invece niente. Nessuno mi ha fatto più lavorare”.

Come mai?

“Non me lo spiego. Ero popolarissimo. E lo sono ancora a 72 anni. Mi fermano per strada, mi chiedono i selfie. “Alvaro, tu sì che ce facevi divertì”, dicono”.

Erano B-movie, cinema di serie B?

“Ma se ho pure vinto il Leone d’Argento alla carriera”.

Qual è il rimpianto?

“Mi piacerebbe rifarli, ma non ci sono più gli attori di quel tempo, Renzo Montagnani, Mario Carotenuto, che è stato il mio maestro. Ho scritto due sceneggiature, ma non trovo un produttore che le finanzi. Il cinema l’ho salvato io”.

Esagerato.

“La commedia italiana sì, dai. Stava morendo negli anni Settanta”.

Chi le è rimasto amico dei vecchi sodali, Lino Banfi?

“No, Banfi non mi ha più cercato. E ne provo dolore. Abbiamo recitato insieme in non so quanti film. Per Capodanno mi ha fatto gli auguri Carlo Verdone. Dovevamo fare un film insieme, ma poco prima di firmare il contratto mi sono rotto il malleolo, e non se ne è fatto nulla”.

Lino Banfi in L’allenatore nel pallone (1984).

È vero che ha sofferto di depressione?

“Sì. Non me annava de fa’ gnente. Non volevo più vedere nessuno. Non rispondevo più nemmeno al telefono”.

È stato doloroso?

“Mi mancava l’aria. Un periodo terribile”.

Un attore è sempre precario?

“È la sua dannazione”.

Come ne è uscito?

“Mi è stata vicina con pazienza mia moglie, Stefania Corona. Mi portava con sé alle sue serate, lei canta; era un modo per riportarmi nell’ambiente. E’ stata una ripresa lenta, faticosa”.

La droga non l’ha mai tentata?

“No, al massimo qualche spinelletto in compagnia”.

Ora che cosa fa esattamente?

“Arrotondo facendo spettacoli, nei teatri, soprattutto al Sud. A Roma poco, non c’è il culto della serata”.

Quanto prende di pensione?

“1200 euro”.

Non è tanto, visto quel che ha guadagnato.

“Mi hanno fregato un sacco di contributi”.

Com’è stato possibile?

“Le case di produzione mi pagavano a giornata, ma su trenta me ne segnavano dieci al massimo. Così per anni. Non c’era internet, non c’erano i controlli di adesso, ed io mi sono fidato”.

Quando si sta sulla cresta dell’onda non si bada al dopo?

“Quello è stato il mio errore. Ogni sei mesi mi arriva però un assegno per i passaggi televisivi dei miei film, per il resto campo delle serate”.

Le reti Fininvest li hanno passati per tutti gli anni Ottanta e Novanta.

“La Rai quasi mai invece”.

Con Edwige Fenech in L’insegnante viene a casa (1978) 

Ha lavorato con Striscia la notizia.

Imitavo Jean Todt della Ferrari. Quando andavo davanti a Montecitorio, quelli di sinistra mi evitavano, invece Ignazio La Russa andava matto per me: “Intervistami tu!”, diceva” (fa l’imitazione di La Russa). “Ma io l’ho sempre pensata all’opposto”.

Ha figli?

“Uno, di trentun anni. Vive a Vercelli, purtroppo non lavora”.

È vero che ha fatto il volontario negli ospedali?

“Nei reparti di oncologia per bambini. Raccontavo le barzellette in corsia. Ho aiutato il Bambin Gesù, con delle donazioni”.

Chi le piace dei comici di oggi?

“Checco Zalone è il più bravo. Viene dal cabaret, è molto intelligente”.

Insomma, pensa di avere avuto meno di quanto meritava?

“No, quello no. Ho avuto tantissimo. Però è finito troppo presto”.

Ha un’ultima ambizione?

“Vorrei fare un ultimo film, per fargliela vedere a chi non ha più creduto in me. Un’ultima opportunità. Solo questo”.

(fonte la repubblica)

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