Lun. Apr 29th, 2024

Rigettato il ricorso della difesa che aveva chiesto la scarcerazione del presunto assassino per difetto di gravità indiziaria

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Il presunto assassino di Maria Chindamo resta in carcere. Il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha infatti rigettato il ricorso presentato dagli avvocati Salvatore Staiano e Antonio Caruso, legali difensori di Salvatore Ascone, 57 anni di Limbadi, accusato dalla Direzione distrettuale antimafia guidata da Nicola Gratteri in concorso con altri due indagati (uno deceduto e l’altro minore all’epoca dei fatti) dell’omicidio e della scomparsa dell’imprenditrice di Laureana di Borrello sparita nel nulla il 6 maggio del 2016. La difesa aveva chiesto al Tribunale presieduto dal giudice Mariarosaria Migliorino la scarcerazione per difetto di gravita indiziaria al termine di un’udienza durata un paio di ore. Regge dunque al vaglio del Riesame l’impianto accusatorio che aveva portato la Dda di Catanzaro a chiedere e a ottenere dal gip distrettuale Filippo Aragona l’arresto di Ascone, conosciuto negli ambienti criminali con il soprannome di “U pinnularu” e ritenuto dagli inquirenti organico alla cosca Mancuso. L’inchiesta sulla morte di Maria Chindamo si innesta nella più ampia indagine denominata “Maestrale” sfociata nella maxi operazione messa a segno lo scorso 7 settembre dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Vibo Valentia. Doppio il movente ricostruito dalla Procura antimafia diretta da Nicola Gratteri: la relazione intrapresa dalla donna con un altro uomo dopo aver lasciato il marito che si è suicidato e l’interesse di Ascone e del clan Mancuso sui terreni agricoli da lei gestiti. Il suo principale accusatore è il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, ex rampollo della famiglia di ‘ndrangheta di Limbadi e Nicotera, che agli inquirenti nel 2021 aveva rivelato che Maria Chindamo era stata uccisa e poi data in pasto ai maiali. Informazioni ricevute dal figlio di Salvatore Ascone, Rocco. A rafforzare le ipotesi accusatorie anche le dichiarazioni recentemente fornite dal neo-pentito Pasquale Megna che ha riportato agli inquirenti la frase che Salvatore Ascone avrebbe pronunciato davanti al padre, Assunto Megna: “Io, pe’ quattru sordi, a chija eppi ‘u m’a juntu ‘ncojiu (per quattro soldi quella me la sono dovuta caricare addosso)”.Chija, ovvero “quella” era Maria Chindamo. Il nome del 57enne di Limbadi è stato tirato in ballo da diversi collaboratori di giustizia ma per la difesa si tratterebbe di dichiarazioni “assolutamente generiche” e non riscontrate nella realtà. Parecchi e tutti tesi ad evidenziare le falle della ricostruzione accusatoria i dubbi sollevati dagli avvocati Staiano e Caruso nella loro articolata memoria difensiva: non sarebbe stata individuata con certezza la causa dell’omicidio, non vi sarebbe prova certa della manomissione delle telecamere mentre il metodo mafioso e l’agevolazione della ‘ndrangheta sarebbero “solo pensati ma non dimostrati”. Tra gli atti depositati dalla difesa anche un articolo di stampa dell’agosto del 2016, ripreso e rilanciato da diversi giornali online, dove la criminologa Angela Tibullo ipotizzava già allora che Maria Chindamo fosse stata uccisa e dato in pasto ai maiali. Un’ipotesi shock solo successivamente raccontata alla Dda di Catanzaro dai collaboratori di giustizia. Un documento ritenuto importantissimo perché – secondo la difesa – tende a dimostrare che le presunte modalità dell’omicidio non fossero un dato inedito ma già noto da anni e conosciuto anche dal principale accusatore di Ascone, il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso. Elementi che non sono stati sufficienti a far vacillare il castello accusatorio e la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha quindi vinto il round dinnanzi al Tribunale del Riesame.

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