Gio. Mag 2nd, 2024

“Io mi ricordo”… (“Eu m’arricordu”…)

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Dalle ricordanze del Sindaco della Città di Gioia Tauro,  Capitano Aldo Alessio, alla nascita del progetto “Il Parco dei Cardi “

Il “Parco dei Cardi” è uno dei progetti di punta di questa Amministrazione comunale, ammesso a finanziamento grazie ai fondi del Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza (PNRR) assegnati alla Città Metropolitana di Reggio Calabria e fruiti da questo Ente, nell’ambito dell’apposita misura “Aspromonte in Città – Una Città Metropolitana verde, sostenibile, inclusiva e smart ”, finanziata, appunto, con i Fondi del PNRR e sulla cui linea di finanziamento prese corpo il progetto generale  denominato “L’Aspromonte in Città ”.

L’idea progettuale nasce inaspettatamente dai ricordi della mia infanzia e della mia prima giovinezza, trascorsa, come quella dei tanti miei coetanei, ai “margi” (aree ai margini della città che diventavano terreno di gioco), tirando calci ad un pallone, serenamente immerso nell’ambiente e nei tanti suoni e colori della vita e della natura circostante.

Quando, infatti, l’Amministrazione comunale di Gioia Tauro decise di partecipare in forma singola a detta linea di finanziamento, mediante la redazione da parte dei tecnici comunali di un apposito progetto, mi premurai d’interpellare il Responsabile del Settore IV – LL.PP., Arch. Francesco Carpinelli, con il quale condividemmo l’idea di puntare su un elaborato progettuale che ambisse a portare la bellezza della natura dell’Aspromonte nel tessuto urbano, purtroppo, lacerato da anni di incuria, attraverso la rigenerazione ed il recupero di un’area centrale abbandonata e degradata. 

Affascinato e motivato da questo obiettivo, cominciò dentro me una sorta di felice ritorno ai miei anni più verdi e spensierati e fui colto da un’intuizione.

Domandai, quindi, al mio accompagnatore di approfondire se il finanziamento della Città Metropolitana prevedesse anche l’utilizzo a fini di esproprio di una parte dei fondi eventualmente erogati e, dopo averne acquisito la conferma da parte dell’ing. Pietro Foti, Dirigente del Settore Pianificazione della Città Metropolitana di Reggio Calabria, portai l’architetto Carpinelli a visitare i ruderi di un antico opificio posto nel quartiere Marina di Gioia Tauro, in disuso sin dalla fine degli anni ’60 e sul quale, con l’approvazione del Piano Regolatore di Gioia Tauro, in data 16.03.1998, giusto Decreto del Presidente della Regione n. 134, durante il mio precedente periodo di amministrazione, era stato apposto il vincolo di bene archeologico industriale, così bloccandone la possibile demolizione per fare spazio alla lottizzazione edilizia in corso, in merito alla quale era stato già espresso il parere favorevole della Regione Calabria.

Carpinelli rimase subito positivamente impressionato da quel rudere, ancora erto, malgrado gli anni, a superbo ricordo di un passato mai del tutto dimenticato.

Fu allora che gli rivelai i miei ricordi d’infanzia in quel posto, parlandogli anche dell’idea di farlo nuovamente rivivere, realizzandovi in chiave moderna un “mondo nuovo”, mediante un’opera che, attraverso il recupero e la valorizzazione del nostro passato, potesse dare l’opportunità alle nuove generazioni di rivivere quel contatto stretto ed intimo con la natura che abbiamo vissuto noi giovani del mio tempo, del quale pure gli narrai.

Gli raccontai di me durante gli anni dell’infanzia e della giovinezza, quando, al pari dei miei coetanei, ero un ragazzo di strada, un ragazzo di fiumi, un ragazzo di spiaggia, che trovava nei “margi” di questa Città le sue aree di svago.

E gli raccontai, in particolare, dello spazio “arretu a machina” (così veniva definita, appunto, l’ampia area non coltivata ed in disuso, quindi di libero accesso, posta alle spalle della Gaslini e dietro l’omonima macchina industriale) dove noi ragazzi della Marina giocavamo a pallone, a volte organizzando partite di calcio contro la squadra dei ragazzi di Gioia, che all’epoca, a fronte della separazione culturale tra il quartiere  Marina e la zona del Centro Città, venivano concepiti quasi come abitanti di una realtà esterna.

Fu così che l’area a ridosso della Gaslini, da improvvisato campo di calcio, in cui quasi tutti i pomeriggi venivano disputate partite di pallone tra ragazzi, diventò un abituale punto di ritrovo che ci insegnò a vivere, in un rapporto quasi simbiotico, la natura circostante a quella fabbrica abbandonata sita in aperta campagna e lontano della periferia urbanizzata, la quale offriva spunti molteplici per il nostro svago, fatto di cose semplici e adesso sconosciute, che erano per noi motivo di gioco ed impegno per intere ore. 

Ricordo che, con la parte terminale e più fine degli steli delle piante selvatiche che crescevano dietro la Gaslini, costruivamo un cappio scorrevole per catturare le lucertole dal collo, che portavamo a passeggio durante i nostri pomeriggi.

E poi ricordo anche dei tanti fiori dei campi incolti dell’area “arretu a machina”, che attiravano varie specie colorate di farfalle (che tutti noi rincorrevamo gioiosi, per prenderle con le nostre mani), oltre che le api e diverse specie di calabroni, che, con l’ingenuità dei nostri anni, ispirati dal colore della testa, distinguevamo  con semplici locuzioni dialettali, tra “mussi niri” – ad indicare i calabroni innocui, privi di pungiglione pericoloso, che quindi potevamo rincorrere e catturare senza particolari cautele – “mussi gialli” e i “mussi russi”, che erano, invece, i calabroni più pericolosi, con il pungiglione velenoso, rispetto ai quali occorreva prestare maggiore attenzione e che, quando pungevano, lasciavano nella pelle una piccola dose di veleno che ci faceva gonfiare la parte interessata, causando bruciore, rossore ed un intenso prurito fastidioso. 

L’esperienza di quel contatto bucolico sviluppò in noi tutti l’acume e la conoscenza derivanti dall’esperienza, poiché imparammo quasi subito a preservarci dal pericolo delle punture dei calabroni con il muso giallo o rosso, grazie ad un pezzo di carta che usavamo a protezione della nostra mano e, una volta catturati, li privavamo del pungiglione, così da renderli innocui per i nostri giochi. 

Qualcuno di noi, a volte, portava da casa il filo della spagnoletta che le nostre mamme utilizzavano per cucire i bottoni (“rocchellina”) e con quello legavamo i calabroni e li facevamo volare, per portarli in giro insieme a noi, come fossero dei microscopici aquiloni.  

Durante il tempo della riproduzione, le bisce nere di campagna (non velenose) si attorcigliavano tra di loro alzandosi da terra ad una altezza tale che potevamo scorgerle anche da lontano.

Non ne eravamo impauriti, anzi! Guardarle era per noi uno spettacolo entusiasmante, persuasi che il loro accoppiamento fosse una meravigliosa danza animale, della quale ci comunicavamo a vicenda, dicendoci: “Guardàti! Stannu ballandu”, fermandoci affascinati ad osservarli.

Il nostro era un mondo bucolico e pieno di incanto e suggestione. 

Intorno alla fabbrica della Gaslini (soprattutto nell’area antistante l’ingresso principale lato mare) crescevano, infatti, numerose, le piante selvatiche dei “cardi” (che chiamavamo “Carduni”, probabilmente perché, in effetti, il fiore si chiama cardone), con il fusto talmente alto che i fiori arrivavano anche alla nostra statura. 

Erano spinose e simili alla pianta del carciofo ed i loro fiori (parecchi e di colore rosa-violaceo) producevano semi di cui si cibavano gli uccellini, in particolare i cardellini, che ne erano ghiotti.

Una grande parte dell’area attorno alla Gaslini era piena di cardi e di cardellini, i quali ultimi facevano da sottofondo musicale ai nostri giochi pomeridiani, cinguettando ininterrottamente, assieme a molte altre specie di uccelli che lì si trovavano.

Il ritorno ai ricordi di quel passato lontano risvegliò la mia immaginazione e, probabilmente, fu proprio in quel momento che la mia imperscrutabile intuizione si trasformò nell’idea vera e propria di ricostruire nell’area della Gaslini un ambiente naturale come quello che avevo conosciuto nei periodi dell’infanzia e della giovinezza, così da riproporlo in chiave moderna per fare vivere ai ragazzi di oggi ed alle scolaresche un concreto e diretto rapporto con la natura, simile a quello che avevamo conosciuto noi ragazzini dei “margi”, alla fine degli anni cinquanta e durante tutti gli anni sessanta.

Per tutto questo, “Il Parco di Cardi “ è, in qualche modo, la concretizzazione di un “sogno”, che nasce da quei ricordi lontani.

L’idea è stata subito sposata dal Responsabile del Settore Lavori Pubblici del Comune di Gioia Tauro, Arch. Francesco Carpinelli, il quale, unitamente al progettista, Arch. Luigi Giuseppe Massara (che, a sua volta, si è avvalso di specifici professionisti esperti in Entomologia, Ornitologia e in Botanica) ne ha dato forma reale, trasformando il ricordo della mia infanzia, in un progetto concreto di ritorno alla bellezza naturale dell’area ex Gaslini del quartiere Marina, rivisitata in chiave moderna.

È così che l’immobile Gaslini, riconosciuto come edificio di archeologia industriale, grazie al vincolo urbanistico imposto dalla prima amministrazione Alessio, si trasformerà in un parco unico in Calabria.

Prima delle delucidazioni tecniche sul progetto, appare, comunque, opportuno offrire qualche riferimento storico sull’immobile, oggetto e protagonista dell’intervento.

Nel 1908, l’opificio (allora di proprietà Mazzorana) fu ceduto alla società Calabro – Lombarda e, in seguito, nel 1933, fu acquisito dalla nota olearia ligure Gaslini (da cui prese il nome con il quale ancora oggi viene riconosciuto). 

Le foto dell’epoca reperite presso l’archivio storico della fondazione Gaslini di Genova, sono tratte da una relazione sui danni subiti durante il bombardamento dell’ultima guerra.

A seguito di detta acquisizione, quindi, il senatore Gaslini ha ricostruito e riparato i danni, rimettendo in funzione la fabbrica, mediante il potenziamento della raffineria, che restò attiva fino alla Seconda Guerra Mondiale, per poi chiudere definitivamente negli anni 60.

La raccolta e la lavorazione delle olive ha sempre fatto parte della tradizione gioiese. Avveniva a terra, ad opera delle braccianti agricole, meglio note come “raccoglitrici di olive”, che, appunto, raccoglievano le olive da terra, chicco dopo chicco, mescolandole tra “buone” e “cattive” per l’estrazione dell’olio. 

Queste donne, encomiabili per il loro spirito di sacrificio ed il senso di attaccamento alla famiglia, uscivano di casa all’alba e, dopo aver percorso diversi chilometri a piedi per raggiungere gli uliveti, lavoravano incessantemente in detti appezzamenti, dall’alba al tramonto e sempre con la schiena curva, chine sotto gli alberi, per portare a casa la misera paga che riscuotevano e così contribuire, anche economicamente, al sostentamento delle proprie famiglie. 

Le olive venivano macinate e gli avanzi della loro macinazione venivano ulteriormente lavorati, producendo le sanse esauste successivamente impiegate come combustibile per le caldaie dello stabilimento stesso, in cui venivano bruciate solo parzialmente, residuandone il cosiddetto “nozzuleddhu”, utilizzato poi per alimentare i “bracieri” (recipienti, per lo più di rame, di ferro o d’ottone, in cui si teneva la brace accesa), che a quel tempo costituivano una delle fonti di riscaldamento più diffuse nelle abitazioni familiari.

Alla Gaslini, durante tutto il periodo della sua attività e per l’intero anno solare, venivano lavorate le sanse.

Lo stabilimento, che era uno dei più importanti della Calabria e dava lavoro a centinaia di lavoratori (in prevalenza gioiesi) era punto di destinazione per i  residuati della prima spremitura di quasi tutti i frantoi della Piana. 

Oggi, di quell’antica raffineria rimane visibile e quasi intatto il prospetto centrale, che trova il suo splendore in una delle due ciminiere originali e, nonostante l’incuria e l’abbandono di tanti anni, ha mantenuto inalterato il suo fascino.

Questo elevato camino, sia nei Portolani che nelle carte nautiche dell’Istituto Idrografico della Marina, è stato sempre descritto come “Punto cospicuo della costa” per i naviganti ed illustrato, nel suo contesto ambientale, come di seguito: “Accanto alla spiaggia, all’estremità meridionale del paese, è notevole ben visibile da lontano un alto fumaiolo che si eleva da basse costruzioni con tetti rossi”.

Il rudere Gaslini sarà adesso oggetto di un ambizioso intervento di riqualificazione, grazie alle risorse assegnate, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (art.21 del D.L. n.152 del 06.11.2021, convertito nella Legge n.233 del 29.12.2021), alla Città Metropolitana di Reggio Calabria, pari all’importo complessivo di €  118.566.100,00 ed in attuazione della linea progettuale <<Piani Integrati – “M5C”- Investimento 2.2>>.

Il Comune di Gioia Tauro, infatti, in quanto facente parte dei Comuni di detta Città Metropolitana, con il progetto denominato “Il Parco di Cardi” , è stato ammesso a finanziamento nell’ambito della menzionata misura intesa alla rigenerazione ed al recupero di aree degradate, affinché proprio nell’Area ex Gaslini, possa essere realizzato un habitat per farfalle e cardellini denominato, appunto, “Il Parco di Cardi”, preso a spunto delle numerose piante selvatiche che costituivano la flora prevalente del sito, negli anni 50/60 e dai voli festanti dei cardellini, che accompagnavano i pomeriggi spensierati di noi ragazzi di quegli anni.

L’importo totale del finanziamento ammonta a complessivi € 6.413.000,00 (dei quali € 583.000,00 stanziate quale premialità per il rispetto della tempistica da parte dell’ufficio tecnico comunale e del progettista, nella presentazione del progetto).

L’intervento prevede il recupero ed il riuso dell’ex fabbrica Gaslini e dell’area immediatamente adiacente, grazie alla creazione di un giardino mediterraneo che passi attraverso i ruderi, armonizzandosi con essi e riportandoli a nuova vita, a beneficio della comunità ed in perfetta sintonia con l’attuale contesto naturale ed ambientale.

E’ previsto, inoltre, il mantenimento ed il consolidamento di parte del manufatto storico, che verrà destinato a specifiche attività incentrate sul tema della biodiversità dell’ambiente. 

Gli immobili del complesso che mantengono ancora una forma ben definita, saranno coperti con strutture in vetro, realizzandovi all’interno serre e spazi per la collettività, mentre i ruderi che non potranno essere ricostruiti, saranno incastonati nel contesto ambientale del “Parco di Cardi”, quale presenza importante e funzionale ad impreziosirne la consistenza, riportando alla vista dei cittadini e dei visitatori gli echi lontani delle storie della vita passata, delle quali cui sono stati protagonisti e testimoni 

L’intervento, mosso dalla logica di cui si è parlato, prevede il recupero dei padiglioni esistenti, funzionali all’ottimizzazione dell’opera ed all’uopo  diversamente destinati. 

Saranno realizzati, nello specifico:

  • Padiglione 1 – Serra dell’accoglienza

Moderno front-office per l’utenza ed i visitatori, in cui verranno fornite informazioni utili alla piena fruizione del parco e saranno resi disponibili depliant e materiale illustrativo. 

  • Blocco A – spazio bar, Bookshop e biglietteria
  • Blocco B –  Casa delle farfalle (Locale accessibile ai visitatori, che potranno passeggiare liberamente in un ambiente adibito all’ospitalità di diverse specie di farfalle, che qui vivranno liberamente in un habitat replicante quello naturale.)
  • Blocco C – Sala mostre – convegni e voliera tropicale
  • Blocco D –  Uffici e laboratori di ricerca
  • Area esterna – Giardino mediterraneo e cupola geodetica (voliera cardellini)

Il giardino mediterraneo, della superficie fruibile di mq. 6.188, e la cupola geodetica (voliera dei cardellini), contenuti in quest’area, completano il progetto di realizzazione del parco, dedicato a specie arboree ed arbustive della macchia mediterranea, per ricreare gli habitat naturali della Calabria, con i loro colori e profumi.

Nel boschetto funzionale alla serra, i cardellini potranno trascorrere le loro giornate in piena libertà, nutrirsi e nidificare. Saranno, inoltre, ospitate diverse specie volatili esotiche, quali dacnis Cayana, Cyanerpes cyaneus, Passerina ciris, Spinus atratus, Tenegara mexicana, che potranno vivere e riprodursi liberamente all’interno dell’area allestita con piante tropicali originarie dell’America centrale e del sud, tutte producenti frutti molto graditi dagli uccelli e ricchi di nettare. Anche questo padiglione sarà accessibile ai visitatori.

È questa l’estrema sintesi di un progetto di cui sono entusiasta e che, come in balia della passione e dell’entusiasmo del bambino che sono stato, non vedo l’ora di vedere realizzato, per ritrovare al suo interno e nel contesto circostante, quell’angolo ancora incontaminato di natura che custodisco integro nei miei ricordi e che spero di potere al più presto condividere con la mia comunità.

Questo è “Il Parco dei Cardi”, opera moderna e rispettosa delle origini che si propone di fare diventare Città di Gioia Tauro meta di crescenti attrattive culturali e turistiche.

Un’opera che è frutto dell’amore di un Sindaco per la propria Città e regalo prezioso per le future generazioni, che potranno viverla pienamente, magari cogliendo il fascino immanente di quell’invisibile filo sottile che lega al presente la memoria del passato e costruisce un ponte ideale verso il futuro.

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