Sab. Apr 27th, 2024

A “Le Iene presentano: Inside” un viaggio attraverso testimonianze e luoghi che raccontano una delle organizzazioni criminali più potenti

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Dai traffici di cocaina ai riti di affiliazione, passando per gli interessi e gli affari sparsi in tutto il mondoDai latitanti nascosti nei bunker alle vittime innocenti. Il racconto che si snoda tra San Luca, Platì, Africo, Limbadi, si spinge fino a una delle «verità indicibili» che potrebbe modificare il racconto della ‘ndrangheta in Calabria: il traffico di rifiuti radioattivi. Quello de “Le Iene presentano: Inside” è un vero e proprio viaggio attraverso testimonianze e luoghi che raccontano la ‘ndrangheta, una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo che, negli anni, è diventata una vera e propria multinazionale del crimine. Partendo da piccoli paesini nel cuore dell’Aspromonte fino al Sud America Giulio Golia ha raccolto le testimonianze esclusive di Antonio Nirta, detto “Due nasi”, Giovanni Morabito, nipote del boss al 41bis Giuseppe Morabito, detto “Tiradritto”, e di Jhon Jairo Velásquez Vásquez, detto Popeye, narcotrafficante braccio destro di Pablo Escobar.

Affari, riti e legami di famiglia

Un viaggio, durante il quinto appuntamento del programma dal titolo “La ’Ndrangheta”, condotto da Giulio Golia, scritto da Francesca Di Stefano che ha inizio con il racconto dei traffici di cocaina. «La ‘ndrangheta – spiega Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia – ha articolazioni in tutto il mondo. Hanno ‘ndranghetisti di altri Paesi che sono affiliati di pieno rispetto. Il fatturato della ‘ndrangheta vale quanto il Pil del Qatar». La cocaina è il principale interesse economico criminale dell’organizzazione criminale e il porto di Gioia Tauro rimane il centro nevralgico di questo sistema. Fatta di riti di affiliazione, «una ritualità che serve a impressionare il giovane che diventa parte nell’organizzazione», dice Roberto Saviano, la forza della ‘ndrangheta si basa sulla sui rapporti familiari. Rapporti talmente forti da aver ostacolato per molto tempo le indagini. Fino al pentimento di Luigi Bonaventura, che ha fatto arrestare 150 ‘ndranghetisti, fra cui il padre. «Rispetto, disciplina e lealtà, questa è la mafia», dice il braccio destra di Pablo Escobar Jhon Jairo Velásquez Vásquez. «Il pentimento di Bonaventura è stato uno spartiacque importante», afferma il giornalista Pietro Comito.
E poi ci sono le storie delle vittime e di chi ha scelto di collaborare con la giustizia. Per amore dei figli e desiderose per loro di una vita diversa fanno una scelta di libertà Giuseppina PesceMaria Concetta CacciolaMaria Chindamo, Lea Garofalo. Tra chi ha perso la vita a causa della ferocia dei clan ci sono anche Matteo Vinci, ucciso con un’autobomba per 50 metri quadri di terra e il giovanissimo Filippo Ceravolo, il 19enne ucciso per errore a Soriano, in provincia di Vibo Valentia. Strazianti le testimonianze dei familiari, costretti a convivere con un dolore inimmaginabile.

Dal cuore della montagna al mondo

E’ la montagna il luogo in cui diversi latitanti si sono nascosti e sono stati ritrovati. Quella stessa montagna che spesso è associata a contesti criminali. E’ la Madonna di Polsi a San Luca, la “Madonna della montagna” «la metafora di come un simbolo di fede possa essere strappato alla comunità».
Dopo sei anni di ricerca il boss Ernesto Fazzalari è stato trovato nel cuore dell’Aspromonte, in una villa in mezzo ai boschi. Ed è attraverso i bunker nei cunicoli di Platì che Giulio Golia, accompagnato dal Comandante Carlo Mentuccia, dello Squadrone eliportato Cacciatori di Calabria, ha raccontato gli stratagemmi utilizzati dai latitanti per nascondersi e muoversi indisturbati in un paese sotterraneo.
«Ma come ha fatto la ‘ndrangheta a diventare così potente? Uno dei più importanti player del narcotraffico mondiale?», si chiede Giulio Golia. «Probabilmente per l’enorme reazione nei confronti di Cosa nostra, la ‘ndrangheta muovendosi silenziosamente è cresciuta indisturbata».

La Calabria “terra dei fuochi”: «una verità indicibile»

Sono tante le domande inquietanti su una questione in particolare: anche la Calabria potrebbe essere stata utilizzata come la terra dei fuochi. «Il traffico di rifiuti tossici radioattivi è una delle verità indicibili che potrebbe modificare il racconto della ‘ndrangheta in Calabria», dice il giornalista Felice Manti. All’interno della puntata Giulio Golia evidenzia alcune operazioni della ’ndrangheta, come ad esempio il traffico di rifiuti tossici e radioattivi impastati nel cemento che potrebbero aver portato alcuni territori della Calabria a una seconda terra dei fuochi e alla distruzione dei nostri mari. Alle telecamere della trasmissione alcuni abitanti di Africo, cittadina in provincia di Reggio Calabria, raccontano dell’elevato tasso di tumori nel loro comune. Raggiunto da Golia Giovanni Morabito, nipote del boss al 41bis Giuseppe Morabito, detto “Tiradritto”, cercando di allontanare la responsabilità della propria famiglia dalla vicenda afferma: «Qua è tutta una discarica. Chi ha buttato questi fusti sono bestie. Mio zio non c’entra nulla, è un povero contadino, un povero lavoratore». Per poi aggiungere: «La ‘ndrangheta non esiste. Cos’è? Si mangia?». E ancora, Golia ripercorre anche la vicenda dei cugini Squillacioti. I due, durante una battuta di pesca, avrebbero rinvenuto una palla di fango che, presa tra le mani, avrebbe provocato loro un forte prurito. Entrambi poi sono deceduti per leucemia mieloide, una malattia che colpisce in Italia due persone ogni centomila, con un unico fattore di rischio: l’alta esposizione a radiazioni.

La morte di Natale De Grazia e il caso delle “navi a perdere”

Tra le vicende più importanti a riguardo c’è la storia delle navi a perdere e della morte, avvenuta in circostanze misteriose, del capitano di corvetta Natale De Grazia. Ci sono ancora tantissimi dubbi e decine di domande senza risposta sui misteri intorno alle indagini sul traffico di rifiuti tossici e radioattivi e le imbarcazioni affondate nel Mar Mediterraneo, dietro al quale aleggia lo spettro della criminalità organizzata. Una storia che parte dall’affondamento della motonave maltese Rigel al largo di Capo Spartivento, nel 1987. Nelle indagini sulle cosiddette “Navi a perdere”, come furono chiamate da un indagato, diviene centrale la figura del capitano Natale De Grazia, la cui presenza nel 1995 viene richiesta dall’allora procuratore di Reggio Calabria Franco Neri, che coordinava le indagini su traffici di rifiuti e sugli affondamenti di navi con carichi sospetti nel Mediterraneo. Sarà proprio durante un viaggio in auto verso il Nord Italia che De Grazia morirà, dopo aver cenato insieme a due colleghi in un ristorante a Campagna. Una morte ancora oggi avvolta nel mistero e che i fatti portano a ricollegarla alle indagini che il capitano di corvetta stava svolgendo intorno al fenomeno delle navi a perdere. «Non c’è la volontà di arrivare alla verità. Se non fosse stato eliminato De Grazia, sono certo che ci avrebbe portato sulla Rigel. Purtroppo non ci è stato consentito di dimostrare la verità», ha detto il procuratore Neri intervistato.
«Sul caso dei rifiuti interrati c’erano sei procure stavano indagando, ma che fino hanno fatto?», sottolinea Golia, che al termine della puntata riavvolge il filo e ricorda che la Calabria è anche un territorio meraviglioso fatto di cittadini onesti. «Crediamo che dire le cose come stanno sia il primo passo per migliorare le cose, ma per la Calabria serve qualcosa di più».

CORRIERE DELLA CALABRIA

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