Dom. Mag 19th, 2024
Roma, 9 apr. (askanews) - Quattro noti imprenditori di Reggio Calabria ritenuti affiliati alle cosche di 'ndrangheta del capoluogo calabrese sono stati fermati in un'operazione del Nucleo investigativo dei carabinieri, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia reggina: sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, fittizia intestazione di beni e autoriciclaggio. Gli imprenditori avrebbero contato sull'appoggio delle più pericolose cosche cittadine per accumulare enormi profitti illeciti, riciclati poi in fiorenti attività commerciali. L'indagine ha fatto luce su un reticolato di cointeressenze criminali coltivate da imprenditori edili e immobiliari. Sequestrate anche numerose aziende, centinaia di appartamenti e decine di terreni edificabili nel capoluogo per un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro. All'operazione hanno partecipato oltre 100 carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria.

Nell’estate dello scorso anno era stato scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione “Costa Pulita”; adesso gli è stata revocata anche la misura del divieto di far rientro in Calabria. Antonino Accorinti, ritenuto il boss di Briatico, è quindi un uomo libero. La vicenda trae spunto dal ritardo nel deposito delle motivazioni della sentenza dell’abbreviato del procedimento penale “Costa Pulita” avvenuto dopo oltre un anno. Oggi la Corte di Appello di Catanzaro, in accoglimento di un’istanza proposta dagli avvocati Giuseppe Bagnato e Salvatore Staiano, ha revocato il divieto di dimora in Calabria nei confronti del 64enne, arrestato nell’aprile del 2016 perché accusato di essere il promotore dell’associazione mafiosa operante nel paese costiero del Vibonese. In primo grado, con l’abbreviato, il Gup di Catanzaro lo aveva condannato a 14 anni e 8 mesi di reclusione per associazione mafiosa, estorsione ed altro, ma il ritardo nel deposito della motivazione della sentenza aveva portato alla scarcerazione, nell’estate scorsa, di Accorinti. Il giudice aveva applicato il divieto di dimora in Calabria, ritenendo sussistenti profili di pericolosità sociale. In appello, i suoi difensori hanno sostenuto l’insussistenza delle esigenze cautelari in ragione della risalenza temporale dai fatti e dall’applicazione della misura.

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