I rapporti fra i clan crotonesi e reggini. Il filo diretto con San Luca, Cirò e Cutro. Il ruolo dei Mancuso e l’alleanza con i Pesce e i Piromalli
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E’ stato Giuseppe Vrenna, 70 anni, di Crotone, già a capo dell’omonimo clan della ‘ndrangheta e collaboratore di giustizia da circa dieci anni, il primo pentito ad essere ascoltato nel maxiprocesso Rinascita-Scott. Rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia (Brigida Cavasino presidente, a latere i giudici Gilda Romano e Claudia Caputo), Pino Vrenna ha spiegato di aver raggiunto un ruolo apicale di ‘ndrangheta all’interno della propria famiglia nella quale è stato affiliato all’età di 17 anni con il grado di “picciotto”. Figlio di Luigi Vrenna, alias “U Zirru”, che già dagli anni ’60 era considerato in Calabria un capo-società, ha sottolineato che all’epoca la struttura apicale della ‘ndrangheta denominata “Crimine”, oltre che a San Luca, esisteva anche a Catanzaro ed era guidata da Peppe Catanzariti, con capo-contabile Alfredo Consarino che aveva un tabacchino vicino lo stadio di Catanzaro. Una struttura che però – pur se nata con il consenso dei fratelli Giuseppe e Antonio Nirta di San Luca – per mancanza di uomini, da Catanzaro si allargò nella città di Crotone. “In tale Crimine – ha ricordato Giuseppe Vrenna – c’era all’epoca pure mio zio Peppino Vrenna ed eravamo tutti legati al Crimine principale che stava a San Luca ed era guidato all’epoca dai Nirta.
Quindi il racconto sul contrabbando di sigarette negli anni ’60 e ’70 con l’alleanza fra i Vrenna, i clan napoletani e gli allora emergenti Paolo, Giovanni e Giorgio De Stefano di Reggio Calabria. Le navi con i carichi di “bionde” arrivavano al largo delle acque crotonesi e venivano prelevate con piccole imbarcazioni dagli uomini dei Vrenna e dei De Stefano, con le sigarette poi dirottate sulle piazze di Napoli e Milano. Per altro sbarco di hashish, invece, sarebbe stato utilizzato negli anni ’70 il porticciolo di Le Castelle con un’alleanza fra i Vrenna e gli Zumpano di Roma”.
Infine, gli unici riferimenti al Vibonese. “Nel Vibonese c’erano i fratelli Francesco e Antonio Mancuso che detenevano il Crimine ed hanno poi lasciato il potere al fratello Luigi Mancuso con il quale sono stato detenuto nella stessa sezione al 41 bis (carcere duro) e già all’epoca, anni ’90, si diceva che lui fosse un capo-crimine. Ricordo pure che nella ‘ndrangheta negli anni ’90 si diceva che i Mancuso di Limbadi, i Pesce di Rosarno ed i Piromalli di Gioia Tauro si erano saldamente alleati e dividevano i principali affari”. Il controesame di Pino Vrenna da parte dei difensori è stato fissato per l’8 febbraio prossimo. Il processo sta proseguendo con l’esame di altri collaboratori
ilvibonese