Mer. Mag 1st, 2024

“Giustizia è andare sotto casa degli assassini”, la madre non si arrende

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“Il mio Massimiliano oggi compie 50 anni”. Liliana Carbone non si arrende al dolore e continua a chiedere giustizia per il figlio, ucciso dalla ‘ndrangheta a soli 30 anni. Oggi, 18 aprile, Massimiliano Carbone avrebbe dovuto spegnere le sue prime 50 candeline, ma la sua vita è stata spezzata troppo presto, in un agguato mafioso avvenuto una sera d’autunno di vent’anni fa.

“Trentenne per sempre”, lo ricorda la madre, che in questi anni non ha mai smesso di lottare per la verità e per tenere viva la memoria del figlio. “Siamo per sempre incinte dei nostri figli, noi mamme che li abbiamo perduti”, dice Liliana con la voce rotta dal dolore. “Ridiamo e alziamo gli occhi al sole e mangiamo una cosa buona, poi tutto resta a metà perché manca ai nostri figli”.

Liliana rivive l’attesa di Massimiliano, “senza dubbi della creatura a cui dare il nome di padre Kolbe, in un tempo in cui ancora non si usava l’ecografia”. Rivede i suoi giochi, i suoi sorrisi, ma poi il ricordo si fa buio e torna alla mente l’angoscia degli ultimi sei anni di vita del figlio, segnati dalla crudeltà di chi lo ha portato via.

“Mi viene chiesto spesso di raccontare mio figlio, che era davvero soltanto un ragazzo normale e che ha vissuto straordinariamente per la sua forza di amare. Non è stata l’invidia degli dei a fermargli la vita, ma quella di individui senza dignità e senza scrupolo, che hanno organizzato nel tempo un alibi artato e l’agguato mortale per cancellare Massimiliano da quella Locri che considerano cosa loro, lavoro e donne compresi”.

Liliana non ha dubbi: “La verità è già giustizia”. E per lei, come per le Madri di Plaza De Mayo, “la giustizia è punire gli assassini, andare sotto casa agli assassini e gridare il dolore e la condanna e sotto le foto dei figli scomparsi far nascere protesta e poesia”.

“Sono vissuta oltre i suoi 30 anni, e oltre la sua pietra violata il giovedì santo del 2007 dalla pretestuosa richiesta di esumazione dei coniugi indagati per l’omicidio”, racconta Liliana. “A volte penso all’Erodiade di Giovanni Testori, quella che davanti alla grandezza del Battista prigioniero che la respinge ne decide la morte gridandogli ‘Maledetto, io ti amo!’ E il mio disprezzo per la menzogna spudorata ed egoista sale, e mi tiene dritta, ma ancor più mi tiene viva l’immagine della grande bellezza del mio bambino dorato per sempre, padre per sempre e per sempre giovane”.

Resta il tempo degli auguri più amari. “Di giustizia, figlio mio prezioso. Quello che hai amato resta per sempre tuo. Il pensiero della tua tenerezza mi acquieta l’anima, e noi insieme continuiamo a vivere perché ‘lotta è perduta per chi l’abbandona'”.

La storia di Liliana e Massimiliano Carbone è una storia di dolore infinito, ma anche di speranza e di tenacia. Una storia che ci ricorda che la lotta per la giustizia non deve mai fermarsi, che la memoria delle vittime innocenti non deve mai essere dimenticata e che l’amore di una madre può essere più forte anche della morte.

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