Dom. Mag 19th, 2024

Giuliano Di Bernardo, ex capo della più numerosa obbedienza massonica italiana, testimonia al processo “’Ndrangheta stragista”. La stagione delle stragi e le infiltrazioni dei clan. Il vero elenco della P2 e le logge segrete. Le intuizioni di Cordova e l’inchiesta naufragata

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Le bombe del ’92, lo sbarco degli americani in Italia durante la seconda guerra mondiale, i movimenti separatisti, la P2, i traffici di armi, il ruolo delle mafie. Sono alcune fra le più importanti ed ancora oscure pagine segrete della storia d’Italia quelle raccontate oggi dall’ex Gran maestro del Goi Giuliano Di Bernardo, testimone oggi al processo “’Ndrangheta stragista”. Da capo della più numerosa obbedienza italiana, Di Bernardo è andato via sbattendo la porta e denunciando l’inquinamento mafioso delle logge calabresi e siciliane. Un divorzio seguito ad una lunga “indagine interna” che l’allora Gran Maestro ha portato avanti per capire i reali confini dell’infiltrazione.

IL RICATTO DEI CLAN «Io – racconta, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Lombardo – non conoscevo le logge territoriali, prima di essere eletto Gran Maestro non ero mai andato neanche a Roma». Ma da capo del Goi ha spostato la residenza al Vascello, il cuore dell’obbedienza, ed è lì che sarebbe venuto a conoscenza di molti dei segreti dell’organizzazione che era chiamato a guidare. A partire dai rapporti fra logge siciliane e calabresi con Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. «Ettore Loizzo, ingegnere di Cosenza e mio vice al Goi – racconta – nel corso di una riunione della Giunta del Grande Oriente d’Italia disse che poteva affermare con certezza che in Calabria su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta. Io saltai e gli dissi: “E cosa vuoi fare?”. Lui mi rispose: “Nulla, assolutamente nulla” perché altrimenti lui e la sua famiglia avrebbero rischiato gravi rappresaglie».

SEGNALI D’ALLARME DALLA SICILIA Ma la rivelazione di Loizzo – spiega – è stata in fondo solo una conferma. Già da tempo Di Bernardo sospettava infiltrazioni e rapporti «che nulla avevano a che fare con i principi della massoneria», sostiene. «Quando io ero Gran Maestro, successe una cosa che fece tremare tutta la massoneria. L’arresto del sindaco di Castelvetrano, membro del Goi, accusato di associazione mafiosa». E non fu l’unico. «Dalla Sicilia erano arrivati anche altri segnali. Da Gran Maestro, poco dopo la mia elezione ho visitato tutte le circoscrizioni. In Sicilia, dopo l’incontro ufficiale, l’avvocato Massimo Maggiore di Palermo, che era il presidente del più alto organo della giustizia massonica, mi ha consigliato di rifiutare l’eventuale invito del presidente circoscrizionale a visitare le logge del Trapanese, perché “contaminate” o sotto il controllo della mafia. Gli chiesi come avesse potuto permetterlo e lui mi ha detto che non aveva potuto evitarlo. Lì mi sono reso conto che le regole della massoneria in Sicilia erano subordinate a quelle dei clan». Ma, in Italia, non era quello il territorio più preoccupante.

PERICOLO VERO IN CALABRIA «La situazione calabrese – racconta l’ex Gran maestro – era molto più preoccupante. In Sicilia la massoneria era frastagliata e ogni parte aveva il suo centro di potere. In Calabria, al di là di tutti i contrasti che tuttora esistono, vedevo una mente unitaria, una regia unitaria». E un’affinità straordinaria persino nella struttura. «Io penso – prosegue Di Bernardo – che il punto di giuntura sia nel rituale. Cioè il rituale usato in massoneria e quello usato nella ‘ndrangheta ha, sia pure con terminologie diverse, una base in comune. Per entrare in massoneria si usa un rituale. Per entrare nella ‘ndrangheta si usa un rituale che però ha lo stesso significato: quello di vincolarti al segreto una volta che tu sei dentro. Questo ha facilitato molto la compenetrazione fra ‘ndrangheta e massoneria».

MISTERI CRIMINALI ALL’OMBRA DELLE LOGGE Rapporti all’ombra dei quali sarebbero maturati anche alcune delle stagioni ancora tutte da chiarire della storia d’Italia. «Mi sono fatto l’idea che la stagione stragista potesse essere maturata a contatto con ambienti massonici, sebbene in ambiti separati. L’intera situazione, che passava dagli attentati del ’92, ai movimenti separatisti, oltre che dall’infiltrazione della ‘ndrangheta era in qualche modo legata». Una deduzione a cui Di Bernardo è all’epoca arrivato a partire da dati certi. In primo luogo, riguardo l’interesse delle logge calabresi e siciliane nei movimenti regionalisti. «Il mio segretario personale Luigi Savina – ricorda l’ex Gran maestro – mi diceva che parte della massoneria appoggiava i movimenti separatisti. In particolare, lo faceva la Calabria, che cercava di coinvolgere anche la sede centrale. Reggio era il centro propulsore. Cosenza, aveva una sua specificità e la situazione era meno grave. Catanzaro non contava molto. Reggio aveva il boccino in mano. Quella visione non rientrava nella mia visione d’Italia, per questo fin quando sono stato Gran maestro ho sempre respinto tali richieste. Non conosco la situazione al Nord, ma posso immaginare che non fosse interessato, sebbene non possa escludere che ci fosse chi gettava benzina sul fuoco».

L’UOMO NUOVO MADE IN USA È nello stesso periodo che Licio Gelli, espulso dal Goi quando viene scoperchiata la loggia P2, tenta di essere riammesso all’interno dell’obbedienza. Creatura degli statunitensi, cresciuto all’ombra del muro di Berlino e della guerra fredda, Gelli per Di Bernardo è l’uomo su cui gli Usa avevano puntato quando Washington «aveva perso fiducia in Moro e Andreotti e iniziava a temere che ci potesse essere il sorpasso comunista. Quando gli americani non hanno più fiducia negli organi istituzionali, vanno alla ricerca dell’uomo nuovo, fuori da ogni contesto». E la scelta è caduta su Gelli. Quasi un interno. A reclutarlo – racconta l’ex Gran maestro – era stato Frank Gigliotti, principale agente dell’Oss in Italia (la prima agenzia di intelligence statunitense) dal 41 al 45, poi passato alla Cia per coordinare le attività “anticomuniste”, e autore della ricostituzione delle reti massoniche in Italia. E da bravo mentore, è Gigliotti a proporre Gelli come «salvatore d’Italia», sottolinea Di Bernardo. «Da quel momento Gelli è stato il referente unico ed esclusivo del governo americano, per evitare che in Italia si facesse il sorpasso dei comunisti».

LA VERA STORIA DELLA P2 Gelli – racconta l’ex Gran Maestro – «ha avuto montagne di dollari, ma soprattutto il governo americano ha messo all’obbedienza di Gelli i vertici italiani economici, militari e della magistratura. Tutti nella sua obbedienza. Quest’uomo all’improvviso si è ritrovato un potere che penso nessuno ha mai avuto in Italia. Ed è vero: si parla di questo progetto politico di Gelli, il piano di rinascita. Ma cosa avviene? Gelli si era impegnato a modificare l’Italia per evitare il sorpasso. Ma quando Gelli riceve i soldi dagli americani fa i suoi affari e non pensa allo scopo fondamentale. Gli americani cominciano a sollecitarlo. E allora lui, come confidato a qualche suo collaboratore, non ce la fa più e si mette a scrivere così un progetto a caso. Tradisce gli americani, mettendo da parte i fini politici».

TENTATIVI DI RIAMMISSIONE Scaricato dagli americani, probabilmente anche alla luce del progressivo disgelo con il blocco sovietico, stanato dall’inchiesta sulla P2, Gelli – spiega Di Bernardo – in realtà non ha mai perduto il suo zoccolo duro all’interno del Goi. «Una base molto forte». Ma forse non a sufficienza se è vero che tutti i suoi tentativi riammissione sono naufragati anche grazie al no secco di Di Bernardo. «Dopo la mia elezione, Gelli – racconta in aula – mi invia due lettere in cui mi chiede di essere riammesso. Io le leggo e informo la giunta che mi sono arrivate queste lettere e non faccio nulla. Una sera Eraldo Ghinoi mi viene a trovare e mi chiede se ho ricevuto le lettere. Io dico che, a parte la mia idea personale, Gelli non può né deve tornare. E che se anche io volessi voluto proporre il suo rientro, l’avrei dovuto presentare in Gran Loggia con la certezza che sarebbe stato bocciato a grande maggioranza. E lui mi dice: qui ti sbagli. Prova a metterlo all’approvazione e vedrai che sarà approvato. A questo punto, mi dice, “io sono amico di Gelli da tanto tempo” e mi fa vedere una medaglia di oro e platino ricevuta da Gelli. Io cominciai a pensare: è questa la massoneria».

IL VERO ELENCO È ANCORA SCONOSCIUTO Oltre ai canali ufficiali, il “signore della P2” avrebbe tentato anche la strada della corruzione e le lusinghe del potere. Prima un’offerta di denaro. Poi, ricorda Di Bernardo, «in cambio della sua riammissione nel Goi Gelli mi offrì l’elenco vero della P2, perché quello sequestrato è solo parziale. L’offerta è arrivata tramite un suo emissario, il cui nome per adesso non voglio rivelare, che ha commentato “così puoi ricattare tutta l’Italia”. Non dico di non averci pensato, perché sarebbe stata l’occasione di fare chiarezza. Ma non se n’è fatto niente». E non è l’unica vicenda che abbia indotto Di Bernardo a pensare che il vero elenco della P2 sia ancora da scoprire e sia tuttora da qualche parte, in mano a qualcuno. «Poco dopo la mia elezione – afferma – il segretario dell’ex Gran maestro Bartelli mi contatta per fare una dichiarazione giurata. Mi racconta che un giorno Gelli si è presentato nello studio di Bartelli con un grosso fascicolo e ha detto “questo è l’elenco della P2”. E guardandolo – mi dice il segretario – Bartelli è diventato di tutti i colori. Dopo averlo sfogliato Bartelli avrebbe chiuso il fascicolo e detto a Gelli “riprenditelo e questo non l’ho mai visto”. Il Gran Maestro era così spaventato da non aver rivelato neanche al suo segretario che nomi avesse letto. Questo avveniva molto dopo lo “scioglimento” della P2». Ma non di tutte le logge segrete.

LE LOGGE SEGRETE NON FINISCONO CON LA P2 «Non finiscono con lo scioglimento della P2», dice netto Di Bernardo. E per esperienza diretta. «Quando Corona, che era capo della Corte che ha espulso Gelli, diventa Gran maestro, è proprio lui a costituire delle logge coperte. Me lo dice Armando Gaito quando divento Gran maestro. Io do l’incarico di fare una ricerca che probabilmente non è andata a buon fine perché, ho scoperto dopo, colui che avevo incaricato era amico di Corona. Però che ci fossero delle logge ne ho avuto la certezza, perché poco dopo si presenta un calabrese, ai vertici dei servizi forestali, che mi dice “io sono parte della loggia coperta di Corona, ma voglio stare sempre con il numero 1”. Io a questo punto gli chiedo una richiesta scritta e documentata, lui me l’ha consegnata insieme a delle foto, che io ho dato a Cordova. Le logge coperte sono di fatto comitati d’affari. Corona ha preso quegli imprenditori che secondo lui potevano essergli utili nei suoi progetti e li ha riuniti in una loggia coperta».

L’INTUIZIONE DI CORDOVA E L’INCHIESTA NAUFRAGATA Verità in tutto o in parte scoperte o intuite dal “mastino di Palmi” Agostino Cordova. Il giudice Cordova – dice con rammarico Di Bernardo – lo aveva capito, la sua inchiesta andava nella direzione giusta. Nel corso delle sue indagini aveva anche compreso che i clan calabresi controllavano il Nord Italia attraverso le logge. «Anche per questo gli misi a disposizione documenti importanti e i risultati delle mie scoperte. Avrebbe potuto fare un’azione importante – racconta – ma non è successo nulla». E forse non a caso. «Si dice che lui abbia contrattato l’abbandono dell’inchiesta con il trasferimento a Napoli e potrebbe esserci del vero. Per me, l’abbandono di Cordova è diventato un incubo perché il fascicolo è passato in mano a diversi procuratori, che ogni sei mesi mi convocavano per sapere le stesse cose che avevo dichiarato al predecessore. Poi l’inchiesta è stata trasferita per competenza a Roma e lì chi doveva istruire il fascicolo ha chiesto una proroga d’indagine per istruire l’inchiesta, ma furono negati. Di fatto, l’inchiesta è stata archiviata per decorrenza termini».

ADDIO AL GOI Ma quello che il “mastino di Palmi” aveva portato alla luce, insieme a quanto scoperto all’epoca è bastato per indurre Di Bernardo a chiudere con il Goi, con il benestare della Gran Loggia d’Inghilterra, l’unica – spiega – a poter concedere “l’ufficialità” alle obbedienze. «Sono andato dal duca di Kent, che è il capo della massoneria, e lui mi disse che era già a conoscenza della situazione». E il dato – aggiunge – non deve stupire. «A Londra mi hanno detto che grazie a ambasciata e servizi di sicurezza erano a conoscenza delle infiltrazioni della ‘ndrangheta e questo è normale, perché in Inghilterra la massoneria è un’istituzione riconosciuta, il capo è il duca di Kent, se ci fosse il re, sarebbe il re, quindi è normale che le associazioni con cui sono in rapporti siano sotto osservazione».

LA DEGENERAZIONE DELLA GLR Uscito dal Goi, Di Bernardo ha fondato la Gran loggia regolare d’Italia, l’unica che tuttora possa dirsi “ufficiale” perché riconosciuta dalla massoneria inglese. «Per evitare le medesime infiltrazioni che avevano contaminato il Goi, io ho portato in Glr le 6 logge emulation fondate direttamente dall’Inghilterra, 107 persone su 18mila. Le ammissioni poi sono state vagliate attentamente. Tutto questo è durato fin quando io non mi sono ritirato». Tuttavia – ammette il suo fondatore con rabbia e rammarico – anche la Glr rischia di essere contaminata. «Ho scoperto da un articolo dell’Espresso del febbraio scorso che il 77,3% di affiliati delle logge Glr di Calabria e Sicilia non è identificabile, il che significa che c’è una copertura». E le coperture – dimostra la storia – possono nascondere rapporti pericolosi.

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