Nella Gerace delle cento chiese una nuova chiesa! Alle tante chiese che nel centro storico costituiscono un patrimonio inestimabile di arte e cultura si aggiunge oggi questa nuova chiesa che sarà dedicata a San Giuseppe, lo sposo di Maria e custode di Gesù il Redentore. Perché tutto questo?
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La liturgia di questa XV domenica del tempo ordinario ci dà lo spunto per una risposta. Il Vangelo in particolare che parla di vicinanza, prossimità, nel contesto di una domanda fondamentale: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù non risponde enunciando principi astratti, ma con un racconto che riferisce azioni concrete che rendono l’uomo capace di vera vita, di dare senso alla sua vita: “passandogli accanto … Vide…. Ebbe compassione…”. Azioni concrete che caratterizzano il comportamento di tutti i personaggi del racconto. C’è chi resta prigioniero dei propri schemi culturali e religiosi. Il sacerdote ed il levita consapevoli del compito che dovevano svolgere passano oltre: non possono contaminarsi, rendersi impuri, non potrebbero esercitare il culto. Un samaritano invece, che è uno straniero, un extracomunitario si direbbe, si fa prossimo di quel malcapitato, uomo senza nome né identità. Dà vita ai gesti del “farsi prossimo“: dieci azioni come un decalogo della concretezza e della vicinanza. Non passa oltre, si fa carico delle difficoltà di quell’uomo preda della violenza e dell’egoismo.
Il samaritano, che esprime la religiosità del farsi prossimo, del non passare oltre, è un richiamo alla chiesa che si fa prossimo. Ecco perché vengono costruite delle chiese nel territorio: lo scopo è esprimere la vicinanza alla gente, all’uomo che vive il territorio, venire incontro alle sue difficoltà, mettersi in ascolto. Papa Giovanni XXIII parla della chiesa “come la vecchia fontana del villaggio, che disseta le varie generazioni…. la fontana del villaggio a cui spontaneamente ci si reca, perché lì si può trovare la sapienza che parte dalla vita e porta alla vita”.
La Parrocchia è da sempre luogo dove la gente si incontra ed incontra Cristo. La parrocchia è, e deve rimanere, la fontana del villaggio, dove la gente comune, abbeverandosi di Cristo, si ritrova e si unisce diventando nuova comunità cristiana. La chiesa è casa che accoglie tutti, particolarmente colui che ha bisogno di ritrovare la via della vita.
Non trasformiamo le nostre chiese in salotti dove si fa di tutto tranne quello che aiuta ad incontrare Cristo, in parlatori ove è veramente difficile ascoltare la parola, vivere un incontro vero e vivificante con Cristo, formare comunità di fratelli che costruiscono la pace e la fraternità. Le chiese sparse nel territorio sono ordinate a questo incontro che avviene attraverso i segni liturgici: la Parola, l’Eucaristia e penitenza. Le Chiese sono chiamate a divenire spazi di comunione e di carità, mai covi di vipere e serbatoi di maldicenze. Ma veri luoghi in cui si vive, si costruisce la carità attraverso l’incontro con Cristo ed i fratelli. Incontriamo Cristo nelle nostre Chiese?
La chiesa come edificio sacro è anche un luogo di bellezza e di arte, mai va ridotto ad uno spazio di trasandatezza e sciatteria. Teneteci alla bellezza delle vostre Chiese! Custoditele saggiamente, non lasciatele deperire. La chiesa è la vostra casa. Per i ragazzi è anche oratorio, ove si sta insieme, si gioca, si prega, s’impara a vivere, ad amare, a sperare.
L’esortazione apostolica Christifideles Laici di Giovanni Paolo II al n.26, parlando della parrocchia, dice che “essa è l’ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie...”. Di conseguenza, “la parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio; è piuttosto la famiglia di Dio, come una fraternità animata dello spirito di unità; è una casa di famiglia, fraterna ed accogliente, è la comunità dei fedeli“. Paolo VI, all’inizio del suo pontificato, rivolgendosi al clero romano disse: “Crediamo semplicemente che questa antica e venerata struttura della parrocchia ha una missione indispensabile e di grande attualità; ad essa spetta creare la prima comunità del popolo cristiano; iniziare e raccogliere il popolo nella normale espressione della vita liturgica; conservare e ravvivare la fede nella gente di oggi; fornirle la scuola della dottrina salvatrice di Cristo; praticare nel sentimento e nell’opera l’umile carità delle opere buone e fraterne“. Quindi un richiamo forte alla presenza di Dio nel territorio e nelle nostre case.
Giovanni Paolo II continua al n.27 della citata esortazione apostolica: “Se la parrocchia è la Chiesa posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opere profondamente inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue aspirazioni e i suoi drammi. Spesso il contesto sociale è violentemente scosso da forze di disgregazione e di disumanizzazione: l’uomo è smarrito e disorientato, ma nel cuore gli rimane sempre più il desiderio di poter sperimentare e coltivare rapporti più fraterni e più umani. La risposta a tale desiderio può venire dalla parrocchia, quando questa, con la viva partecipazione dei fedeli laici, rimane coerente alla sua originaria vocazione e missione: essere nel mondo “luogo” della comunione dei credenti e insieme “segno” e “strumento” della vocazione di tutti alla comunione; in una parola, essere la casa aperta a tutti e al servizio di tutti“.
Papa Francesco da parte sua ribadisce il concetto della chiesa come spazio accogliente, casa che accoglie tutti (pandocheion): “La Chiesa è la madre dal cuore aperto che sa accogliere, ricevere, specialmente chi ha bisogno di maggiore cura, chi è in maggiore difficoltà. La Chiesa è la casa dell’ospitalità. Quante ferite, quanta disperazione si può curare in una dimora dove uno possa sentirsi accolto (….) Ospitalità con l’affamato, con lo straniero, con il nudo, con il malato, con il prigioniero, con il lebbroso, con il paralitico. Ospitalità con chi non la pensa come noi, con chi non ha fede o l’ha perduta e qualche volta per colpa nostra. Ospitalità con il perseguitato, con il disoccupato. Ospitalità con le culture diverse, di cui questa terra è così ricca. Ospitalità con il peccatore, perché tutti lo siamo”.
Ecco allora l’obiettivo delle nostre chiese: essere sempre più spazi di accoglienza! Un’accoglienza che aiuta a vincere il male della solitudine. La solitudine è una radice che causa tanti danni, che distrugge silenziosamente tante vite: ci separa dagli altri, da Dio, dalla comunità. Ci rinchiude in noi stessi. Perciò, quello che dev’essere proprio di questa nuova Chiesa è essere casa che accoglie. Sua preoccupazione non è principalmente gestire cose, progetti, ma imparare a vivere la fraternità con gli altri. La fraternità accogliente è la migliore testimonianza che Dio è Padre, perché ‘da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri‘” (papa Francesco).
La Chiesa che oggi dedichiamo può diventare una comunità che come una madre accogliente diviene una casa per tutti, con le porte sempre aperte. Ci tengo a sottolineare che oggi non dedichiamo uno spazio chiuso, reso sicuro da cancelli insperabili, ma uno spazio aperto, quello della Misericordia, che perdona, illumina, guarisce.
X Francesco Oliva