Ven. Apr 26th, 2024

Gratteri e Nicaso hanno presentato “Fiumi d’oro” a Reggio. Strigliata ai reggini: «Qui abbiamo documentato come personaggi noti erano in combutta coi boss, ma anche l’amministrazione lo ha dimenticato». E sui paradisi normativi: «Le banche sono il punto debole del sistema. Ma è sempre il cittadino a perdere»

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«La ‘ndrangheta non sarebbe quella che conosciamo oggi senza la complicità dei professionisti e della politica». È un messaggio duro, netto, che sgombra il campo da qualsiasi alibi e mette tutti di fronte alle proprie responsabilità. Nella città capitale della ‘ndrangheta tutta, il procuratore capo della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, e il giornalista e studioso Antonio Nicaso nel presentare il loro ultimo libro, “Fiumi d’oro” sono cristallini: «Il tempo delle parole è finito». Così chiudono la loro ultima fatica letteraria, così ripetono più e più volte ai tanti che hanno affollato la sala della Banca d’Italia, che ha ospitato la presentazione reggina del libro.

SIMBOLI COERENTI DI UNA BORGHESIA COMPLICE Ma anche ai reggini che hanno partecipato in massa all’evento, Gratteri e Nicaso non fanno sconti. «Un anno fa noi abbiamo documentato, carte alla mano, come personaggi celebrati nelle vie e nelle piazze di questa città in realtà fossero in combutta con i massimi boss dell’epoca. Lo abbiamo detto anche pubblicamente. E dopo tutti lo hanno dimenticato. Inclusa questa amministrazione». In questo modo, Biagio Camagna e Demetrio Tripepi – che ai tempi hanno chiesto permesso alle ‘ndrine prima di entrare in politica, o si sono scappellati di fronte alla ‘ndrangheta – sono diventati simboli coerenti di una borghesia che storicamente si è in larga parte venduta ai clan. «Fin dall’inizio dell’Ottocento – sottolinea il professore Nicaso – abbiamo tracce della presenza dei boss nei cosiddetti salotti buoni. Nel tempo la cosa non è mai cambiata. L’unica differenza è che adesso i boss nei salotti buoni non solo ci sono, ma dettano legge. E che prima questi rapporti erano nascosti, adesso vengono quasi ostentati».

LA CARTINA TORNASOLE DEL RICICLAGGIO Non si tratta di un’affermazione di principio, ma dell’analisi attenta e accurata di dinamiche economiche e sociali i cui risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti. «Per fare questo libro – spiega Gratteri – abbiamo esaminato oltre 25mila atti giudiziari relativi a procedimenti riguardanti il riciclaggio e la conclusione dal punto di vista morale ed etico non può essere che amara». Il problema della ‘ndrangheta – spiega il professore Nicaso – «non è accumulare denaro. Anche solo con il narcotraffico, i clan guadagnano miliardi. Il problema è renderlo utilizzabile, disponibile. Così nasce l’esigenza del riciclaggio». Volumi di denaro enormi, difficili da trattare, occultare, pulire. «Ma questa – afferma Gratteri – non è una cosa che possano fare tutti. Chi senza sapere, né studiare, ma magari solo copiando e plagiando, si limita a dire che «basta un click per spostare denaro da una parte all’altra del mondo, non ha capito nulla. La verità è che la ‘ndrangheta da sola non è in grado di fare un riciclaggio sofisticato».

COMPLICI CONSAPEVOLI I clan – sottolinea il procuratore capo di Catanzaro – «possono investire denaro comprando un supermercato, un terreno, un albergo e intestarli a prestanome, anche se poi – dice senza nascondere la soddisfazione – riusciamo sempre a sequestrarglieli. Ma la verità è che per trattare grandi volumi di denaro la ‘ndrangheta si deve rivolgere a commercialisti e tecnici dell’alta finanza. Possono rendere quei soldi utilizzabili solo grazie a loro». Ed è durissimo Gratteri nei confronti della borghesia delle professioni che ha scelto di avvassallarsi ai clan: «Abbiamo una cosiddetta classe dirigente che senza etica e morale alcuna si presta a riciclare il denaro del traffico di cocaina con coscienza e volontà. Abbiamo intercettazioni in cui si ascoltano commercialisti vantarsi di gestire il denaro dei cutresi che controllano tutta la provincia di Reggio Emilia. L’ora delle parole è finita perché con le nostre inchieste abbiamo destrutturato il paradigma di questa gente dalla doppia morale».

PROBLEMA INTERNAZIONALE Non si tratta di un problema esclusivamente del Sud, o dell’Italia. A Londra, nelle facoltà di Economia e Commercio si insegna agli studenti a non chiedersi da dove venga il denaro, ma solo dove meglio investirlo. Negli Stati Uniti – ricorda il professore Nicaso – «per non aver segnalato migliaia di operazioni sospette, una banca è stata semplicemente multata. Nell’ambito di un’altra inchiesta è stato intercettato un banchiere che riguardo a soldi sporchi diceva “Se non li prendiamo noi questi soldi li prendono altri”». Il sistema è persino banale. «Per chiunque – continua il professore – è facilissimo depositare soldi contanti nelle filiali estere che grandi banche, ad esempio canadesi, hanno aperto in posti come Trinidad y Tobago. Quei soldi non si muovono da lì, ma vengono usati a garanzia di mutui aperti in Canada, dove è la banca che mette i soldi».

PARADISI NORMATIVI Ecco perché «oggi non basta e non serve “seguire il denaro” perché il denaro spesso non si muove. E il problema non sono semplicemente i paradisi fiscali, ma i paradisi normativi che consentono operazioni come queste». E nel vuoto di leggi, le banche si dimostrano uno dei grandi punti deboli del sistema. «Il presidente dell’Unodc – aggiunge il professore – ha spiegato chiaramente che nel periodo della crisi molti dei grandi prestiti interbancari sono stati finanziati dalla cocaina». Un problema – dice Gratteri, per nulla intimorito di parlare di corda in casa dell’impiccato – che riguarda anche e soprattutto le banche italiane. «Vogliamo ricordare – dice al direttore della filiale reggina della Banca d’Italia che ospita la presentazione – che qui a Reggio Calabria un istituto di credito ha concesso un fido illimitato a un tale De Stefano senza neanche un bicchiere di copertura, giustificando tutto con una relazione in cui scrivevano che era personaggio “conosciuto, temuto e suscettibile”?».

PENE PIU’ DURE PER LA BORGHESIA COLLUSA Anche in quel caso, sottolinea il magistrato, sono stati i professionisti ad aprire le porte al boss. «Se non ragioniamo per sottrazione – dice Nicaso – rischiamo di non capire il cuore del problema. Senza un capitale sociale, la ‘ndrangheta non sarebbe quello che è oggi. Senza la connivenza della borghesia, la ‘ndrangheta non sarebbe diventata quello che è oggi per questo è ora che si cominci a pensare ad una modifica normativa che punisca più duramente i professionisti che si vendono alle mafie». Anche perché, una volta lavati, quei “fiumi d’oro” finiscono per infettare l’economia, la società la politica. Dall’usura al mattone, dalla grande distribuzione alla ristorazione, non c’è attività lecita o illecita che i clan non abbiano aperto per impiegate il denaro illecitamente accumulato. E se l’usura, basata sul collaudato meccanismo della “brandizzazione della paura”, diventa uno straordinario metodo di controllo del territorio, che stritola e non lascia scampo a chi ci inciampa, le attività lecite gestite dai clan finiscono per strozzare un territorio tutto.

ECONOMIA TOSSICA «Noi abbiamo un Pil inferiore del 9% alle potenzialità reali a causa della ‘ndrangheta. Eppure – sottolinea il procuratore capo di Catanzaro – c’è chi dice che siano i magistrati a distruggere l’economia con sequestri e confische». In realtà, spiega il magistrato «sono state le mafie che con le attività che hanno aperto hanno finito per distruggere quelle tradizionali». Attività spesso fasulle, usate solo come “scontrinifici” necessari per pulire denaro, ma anche per creare consenso. Un supermercato, un centro commerciale, un ristorante significano posti di lavoro. E in terre piegate dalla disoccupazione un posto di lavoro non solo è un bene prezioso, ma anche un favore da riscuotere al momento opportuno. «Significa – dice il professore Nicaso – avere a disposizione venti, trenta, quaranta famiglie che votano nella maniera indicata». Pacchetti di voti che finiscono per condizionare la politica, spalancando alle mafie le porte delle amministrazioni e spesso anche dei finanziamenti pubblici. Un circolo vizioso in cui è sempre il cittadino a perdere. Per questo, tuonano Gratteri e Nicaso, adesso è il tempo di reagire. Gli elementi sono noti e conosciuti, nessuno ha più alibi per dire “non sapevo”, non c’è giustificazione alcuna. «Il tempo delle parole è finito».

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