Dom. Mag 19th, 2024

Tra i più preparati e illuminati diaconi, a livello nazionale, don Michele Trichilo, segretario della Comunità del Diaconato, per la formazione degli aspiranti diaconi, guidata dal vicario generale, monsignor Piero Romeo, e dell’eccellente Scuola di Formazione Teologico Pastorale, diretta da don Giuseppe De Pace, ha risposto a due domande “aperte” sul ruolo e la testimonianza dei successori di santo Stefano.

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D. QUAL E’ IL SENSO DEL DIACONATO E DEL SERVIZIO NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA?
R. Penso che nella testimonianza silenziosa e diffusiva della sua vocazione, il diacono deve sempre più configurarsi al suo Maestro e Signore, al suo essere servo sui passi del Servo del Padre (cfr. Fil 2,7). La vocazione del diacono e il senso della sua diakonìa nel cuore della chiesa e del mondo, nasce e si consuma dal suo estatico scomparire nel cuore del Figlio di Dio, per curvarsi in modo vigile e gratuito sulle ferite dell’umanità, sui suoi dolori, sulle sue speranze di giustizia e di pace, annunciando silenziosamente con la vita la verità dell’amore del Padre manifestatosi pienamente e definitivamente in Cristo.
Calato nella storia ed inserito nel cammino di una società sempre più disabituata al senso della gratuità e di una esigente capacità di accoglienza e di ascolto, il diacono rimane testimone controcorrente della follia della Croce e del suo supremo atto di amore: dare la vita come Gesù Cristo, accelerando così l’alba della Pasqua sull’umanità svilita dal peccato e dalla noncuranza dell’amore.
Ecco: il diacono, permanente o transeunte, in questo contesto di impegno costante e perseverante deve declinare i due elementi insiti al suo ufficio: gratuità e condivisione, cardini del Vangelo da incarnare e vivere e sintesi di ogni servizio ecclesiale.
D. SEMBRA SI STIA ANDANDO VERSO UNA DISUMANIZZAZIONE OLTRE CHE SCRISTIANIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ. COME INVERTIRE LA TENDENZA?
R. Dimenticare Dio (dal latino “de-menticare”: in questa parola il prefisso “de” significa “allontanarsi” che, associato al sostantivo “mentis” significa “allontanare dalla mente”) significa dimenticare la propria identità, la propria storia, le origini del proprio essere. Dimenticare Dio significa de-umanizzare la vita nonché il volto dell’altro, significa respingere il contatto e la relazione con l’altro, significa non amare secondo la dinamica del Dio di Gesù Cristo. La complessità del momento presente, pertanto, ci invita a riflettere seriamente sull’”oltre”, per umanizzare, elevare, nobilitare i nostri stili di vita con tutti: questa è l’alternativa salutare per invertire la tendenza a cui si riferisce la domanda.
Quando l’uomo non ama, quando l’uomo diventa il mito di sé stesso, quando l’uomo è sufficiente a se stesso sperimenterà, prima o poi, che questo è un non-senso edificando così una società “liquida” (Bauman), priva cioè di orizzonti di vita nuova. Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma, precisamente, antagonista di ciascuno da cui guardarsi. Questo soggettivismo ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile: da qui una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto e le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di riferimento sono l’apparire a tutti i costi, l’apparire come valore e il consumismo senza etica e senza misura morale.
E’ da questo contesto, dopo un lungo cammino interiore che porta a libertà, che prepotentemente torna l’orizzonte spirituale dell’uomo: cercare Dio-Amore, sua unica speranza di vita. Questo orizzonte torna attraverso l’esigenza liberante di vivere la più alta forma di amore, quella eminentemente agapica (ἀγάπη), cioè, che dona gratuitamente la propria vita, il proprio pensiero, il proprio tempo e si consuma nella carità con e verso tutti (cfr. Gv 15,13), facendo così “entrare la luce di Dio nel mondo” (Benedetto XVI, Deus caritas est, 39) ed umanizzando il cammino della vita. I Padri della Chiesa, con l’autorevolezza loro riservata dalla grande Tradizione, ci consegnano un pensiero di Ireneo di Lione, che riempie di desiderio il nostro cammino di mendicanti nella storia:
“La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione dà la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre attraverso il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio”. (Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4,20,5-7).

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