Dom. Mag 19th, 2024

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,14-15

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In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».

Parola di Dio

Il commento di monsignor Piero Romeo, vicario generale della diocesi di Locri – Gerace

L’evangelista distingue il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa. Il Gesù terreno è venuto a proclamare l’anno di grazia del Signore (cf. Lc 4,19), tempo di buone notizie ai poveri, di liberazione agli oppressi (cf. Lc 4,12-13), di gioia ai perduti (cf. Lc 15); tempo nuziale in cui lo sposo messianico suona il flauto agli invitati a nozze (cf. Lc 7,32), i compagni dello sposo. Impossibile imporre il digiuno, la presenza di Gesù è gioia e convivialità. Quella distanza dal pane e dall’acqua, quella fame e sete evocano altro, intendono risvegliare la coscienza a un’altra fame e a un altro pasto: il desiderio del faccia a faccia con l’amico del cuore. Il digiuno è a ricordare questa sete di lui, il Cristo, e della sua compagnia. Il digiuno poi diventa evocazione della fame e della sete della parola: “L’uomo non vive soltanto di pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,2-3; Mt 4,1-4). L’uomo è fame biologica e al contempo sete di ragioni che aprano la vita al senso, ragioni a cui viene incontro la Parola all’uomo fonte di resurrezione a una lettura sublime di sé: figlio amato dal Padre, fratello inviato ad amare, figlio della resurrezione. E ancora il digiuno è stato compreso come messaggero dell’astinenza dalla ingiustizia: “Questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi…dividere il pane con l’affamato introdurre in casa i miseri…” (Is 58,5-7). “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5,6). Digiuno a memoria di una fame e sete da coltivare, il prendersi cura del bisogno dell’altro, la sua carenza è diritto che interpella il mio dovere. Digiuno non come opera da vantare come merito, ma come messaggero inviato ad arrecare buone notizie.

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